Matteo Richetti
11 ottobre 2016
Mi sono taciuto. Ieri e oggi. Pensando
che avrei potuto provocare maggiori asprezze di quante già non ve ne
fossero. Ma considerato che tutto accade "a prescindere",
tanto vale dire la mia. Il segretario del Pd, in un plastico
tentativo di tenere unito il partito, ci ha proposto una discussione
su questioni già oggetto di sintesi nel Pd. La legge elettorale è
stata approvata dopo diverse modifiche proposte dalla minoranza, idem
per quanto riguarda la riforma della Costituzione. Ma pur di non
lasciare nulla di intentato, Renzi ha riaperto il dibattito, surreale
se pensiamo che siamo di fronte a provvedimenti chiusi e approvati.
Ancora. Il segretario in maniera puntuale rimette in discussione i
punti chiave dell'italicum contestati dalla minoranza e definisce la
modalità con cui va sciolto il tema della elezione dei nuovi
senatori. "Aperture modeste" sono le repliche fino a "toni
inaccettabili da Renzi", pronunciato questa mattina da un
collega. Poi il tocco finale "per cacciarmi ci vuole
l'esercito". Mi chiedo: cosa induce a creare un clima fatto di
volontà che nessuno manifesta? Perché se arrivano risposte puntuali
ai problemi posti non arriva una conseguente volontà a trovare una
soluzione insieme? E le argomentazioni di chi invece quei
provvedimenti li ha votati con convinzione hanno meno dignità dei
ripensamenti post voto? Ma soprattutto: perché voler rispondere
"nessuno mi caccia" ad una segretario che testualmente
conclude "siamo l'unico grande partito che discute e rispetta il
pluralismo"? Si creano paure e minacce quando mancano
argomentazioni vere. E se mancano argomentazioni vere manca
consistenza. E allora tranquilli: nessuno caccia l'inconsistenza.
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