Mehdi ha il permesso di soggiorno per richiedenti protezione internazionale perché proveniente da uno Stato in guerra, ma anche a lui è arrivato il rifiuto a concedere la residenza in base al cosiddetto Decreto Sicurezza
don Gino Rigoldi
È
arrivato anche ad uno dei miei ragazzi il rifiuto del Comune di Milano a
concedere la residenza sulla base del cosiddetto Decreto Sicurezza.
Mehdi ha il permesso di soggiorno per richiedenti protezione
internazionale perché proveniente da uno Stato in guerra e spera in un
futuro possibile anche se lontano dalla sua famiglia e dalla sua patria.
È bello vedere un adolescente che sogna cose concrete e semplici: un
lavoro, poi una casa e infine una famiglia «tranquilla», lontana dalle
violenze e da una vita al limite della sopravvivenza. È un ragazzo molto
intelligente, capace di relazioni positive, di accettare dei compiti
faticosi, rispettoso degli altri e riconoscente verso chi lo ha accolto e
lo ospita. Per me è come avere un altro figlio. Ha avuto il permesso di
soggiorno, lo Stato lo ha dichiarato accolto ma poi dopo il «Dpr
113/2018» gli impedisce di avere la residenza anagrafica e quindi gli
proibisce il lavoro, la cura della salute, la casa e sembrerebbe gli
proibisca pure di esistere. Il ministro dell’Interno dice che è contro i
clandestini ma Mehdi ha un permesso di soggiorno rilasciato
regolarmente dalla questura, non è clandestino. Ha certamente un grave
difetto: è povero. E perciò dice il ministro: «Prima gli italiani». Come
se l’umanità avesse colore o nazionalità, come se la guerra o la fame
fossero un male che tocca a chi tocca. Noi possiamo solo guardare.
Magari guadagnare un poco in petrolio e in armi, ma accogliere i
fuggitivi poveri no.
È di moda dire che è finita «la pacchia» per gli stranieri clandestini ma
questa legge «sicurezza» vuole fuori anche quelli regolari. Quelli
poveri si capisce, mica per esempio quelli del Quatar. Questi miei
ragazzi come tutti i richiedenti asilo sono come i bambini che si
possono prendere a botte, possono solo piangere. Io credo che debbano
essere difesi. Bene, io vivo veramente «una pacchia» che è quella di
accogliere ragazzi in fuga senza chiedere rette a nessuno. Sono molto
fortunato, è veramente «una pacchia» quella di essere un uomo capace di
compassione creativa, appassionato per la giustizia con il piacere e il
privilegio della solidarietà. E poi, essendo un cristiano, la mia
pacchia è poter ubbidire al comando di Gesù che ha dichiarato benedetti
quelli che lo hanno accolto nei poveri. Nella fede cristiana uno ci può
stare oppure no, mica è obbligatorio, ma la fede non si può inventare, o
si è dentro o si è fuori. Tutte cose già scritte duemila anni fa.
Consiglierei al ministro dell’Interno e a tanti preti e laici di andare a
leggere il capitolo 25 di San Matteo, la descrizione del Grande
Giudizio. Potrebbe essere salutare.
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