mercoledì 2 gennaio 2019

CI SONO DISCORSI COME QUELLI DI FINE ANNO DI MATTARELLA E MERKEL E QUELLO DI CAPODANNO DI PAPA FRANCESCO CHE LASCIANO IL SEGNO, PER TANTE RAGIONI.

Pierluigi Castagnetti
2 gennaio 2019
Per l'autorevolezza di chi li pronuncia. Per il tempo in cui vengono fatti. Per il merito delle cose dette. Per il sentimento che raccolgono nel profondo dell'anima del paese. Per la sensazione che determinano in chi li ascolta.
Prendiamo il discorso del nostro Presidente della Repubblica: sui social abbiamo letto, tra le migliaia e migliaia, addirittura milioni, di reazioni tanti cittadini che hanno dichiarato di essersi commossi. Perchè?
Io penso soprattutto perché la gente da molto tempo non si sente interpretata e rappresentata dalle istituzioni, le sente distanti e parlanti un linguaggio stereotipato o non sufficientemente "umano". O non credibilmente responsabile. Al massimo sente politici che parlano la lingua della rabbia dei cittadini, ma non quella della responsabilità, cioè della soluzione o almeno della via da seguire. Il discorso di Mattarella ha colmato queste lacune, ha creato la sensazione "vitale" di fare sentire i cittadini veramente capiti in ciò che chiedono.
L'odio, infatti, dà si corpo e proiezione alla rabbia, ma non appaga, anzi ti lascia in bocca l'amaro dello sfogo e se la politica si limita a questo l'amaro aumenta. Le parole facili e false di chi ti spiega che tutto è risolto ti creano invece indignazione perché ti fanno sentire preso in giro.
Quando invece sentì un politico, ancor di più un rappresentante delle istituzioni, il massimo rappresentante, che parla pacatamente il linguaggio della verità e della responsabilità, frutto di ascolto (quando sono stato a Torino..., quando sono stato a Verona...) e di intelligenza degli eventi (ho firmato la legge di stabilità solo poche ore dopo la sua approvazione per evitare l'avvio della procedura di infrazione...) allora capisci che il paese non è abbandonato nè in balia degli improvvisatori, e ti senti tranquillizzato. È possibile infatti non riconoscersi in nessuna storia politica del passato e detestare anche tutti i politici di passate stagioni, ma a un certo punto del presente capisci che occorre una solidità di pensiero e di esperienza per guardare avanti, guardare cioè a quel luogo che sarà abitato dai tuoi figli e nipoti, che chiamiamo futuro. E, allora, l'apprezzamento per le cose ascoltate, diventa sensazione di benessere, psicologico e spirituale e, dunque, fisico.
Per ciò io penso che quel discorso andrebbe riascoltato: serve a capire meglio le ragioni del consenso che ha registrato. E serve, in particolare, ai politici. Quella battuta sorprendente e felice sulla "tassa sulla bontà" segnala ad esempio un limite che si è varcato e che non si sarebbe dovuto, così come altri limiti disinvoltamente varcati anche in passato e da altri. Varcare i limiti che definiscono il comune sentire della nostra civiltà non è infatti mai segno di modernità, ma semmai solo di inconsapevolezza di un minimo senso storico. E morale.
Per fortuna la maggioranza degli italiani lo capisce.

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