Mario Lavia
L'Unità 20 gennaio 2017
Domenica il primo turno delle primarie
di socialisti e alleati. Ségolène con il riformista indipendente
La Storia dirà se la sinistra francese
avrà commesso la follia più grande del suo lungo percorso. Fatto
sta che dinanzi alla irresistibile ascesa delle due destre – con i
volti di François Fillon e quello di Marine Le Pen – quel che
resta del socialismo francese e dell’arrugginita gauche si va
a contare nei freddi seggi delle primarie più vane della storia, una
gauche che rischia alla fine di restare fuori dalla gara per
l’Eliseo.
Tutto è possibile, certo. Anche che a
votare domenica per il primo turno delle primarie della Belle
alliance populaire (“nipotina” della gauche, socialisti più
vari gruppi di sinistra) ci vada molta gente. Anzi, sicuramente sarà
così. Non è che il popolo non esista più, anzi, esiste pure
troppo: nel senso che appena può si fa sentire in ogni modo. Il
punto non è questo.
Il punto è che sono primarie senza
speranza. Chi le vincerà – probabilmente Manuel Valls (essere
primo ministro aiuta, no?), o l’ex ministro dell’economia
Arnaud Montebourg o l’ex ministro dell’istruzione Benoît Hamon –
i due frondeurs detestati da Valls – non avrà possibilità alcuna
non solo di arrivare all’Eliseo ma nemmeno di andare al secondo
turno delle presidenziali. D’altra parte – è stato detto ad
abudantiam – il fatto che per la prima volta nella storia della V
Repubblica un presidente della Repubblica non si sia ricandidato è
non solo e non tanto il segno del crollo politico e umano di François
Hollande quanto l’emblema della fine del “terzo tempo” del
socialismo francese – dopo il primo, quello glorioso di Mitterrand,
e il secondo, quello, insperato, di Hollande.
Gli altri candidati alle primarie non
hanno alcuna velleità, se non la ricerca di una visibilità buona
per il “dopo”. Cosa che probabilmente è anche all’origine
della candidatura di Valls, il quale intende mettere fieno in cascina
sperando che la nottata socialista passi.
Intanto sale la stella di Emmanuel
Macron. La grande carta della sinistra riformista francese che,
insofferente dell’avvitamento su se stesso di quest’ultima, se
n’è andato e si è messo a correre per conto suo. E’ lui la
novità della politica d’Oltralpe.
Gli ultimi sondaggi lo vedono
stabilmente in terza posizione, dietro Fillon e la Le Pen. Adesso la
speranza di un ballottaggio fra un conservatore e un progressista
moderato non è più solo nei sogni degli antipopulisti ma una
possibilità. La sua organizzazione – En Marche! – aumenta gli
iscritti e punta a diventare ago della bilancia in Parlamento (dopo
le presidenziali si terranno le elezioni legislative). Dicono i
giornali francesi che la gente affolla i suoi comizi. Alcuni
socialisti, da Ségolène Royal (ci sarebbe stato un incontro
fra i due) all’ex premier Jean-Marc Ayrault lo sostengono. Insomma,
Macron piace alla gente che piace, come diceva un slogan
pubblicitario. Ma non è detto che non riesca a sfondare anche nella
Francia più profonda, tuttora attratta dalla destra.
Già si parla di lui come del prototipo
di leader non solo post-ideologico ma anche post-partito, nel senso
dell’incarnazione di un progetto e un soggetto politico “mobili”,
adattabili alle situazioni, senza barriere e preclusioni verso altre
forze e altre idee. Non si tratta solo di mero pragmatismo. Ma di una
visione pronta ad includere pezzi di politica che i soggetti
tradizionali (a partire da quelli di sinistra) non riescono più a
rendere coerenti e compatibili con i problemi del nostro tempo. Un
politico flessibile, ai limiti del cinismo – se si vuole – in
qualche modo simbolo di una società in movimento, o meglio, che ha
voglia di rimettersi in movimento dopo la stagnazione di questi
ultimi 15 anni.
Di Macron recentemente si è scritto
molto e molto si scriverà nel prossimo futuro (qui un bel pezzo di
Huffington Post).
Macron è dunque molto più avanti del
legnoso socialismo francese. Pur considerando che i paragoni sono
sempre da prendere con le molle, viene da domandarsi se in tutti
questi lunghi anni di jospinismo e hollandismo che hanno accompagnato
il declino generale della Francia, per i socialisti non sarebbe stato
più serio porsi il problema della rifondazione del Ps magari
ipotizzando qualcosa di più largo e innovativo. per giungere ad una
sorta di Partito democratico francese in grado di tenere insieme
Valls e Macron.
Ora invece incombe lo spettro di un
ballottaggio fra Fillon e Marine Le Pen, anche a causa della
dispersione di voti fra le varie sinistre (dove è ancora forte il
“duro” Jean-Luc Mélenchon) e Macron. Sarebbe un esito
drammatico.
Domenica, comunque, la parola al popolo
socialista di Francia. Per Manuel Valls è un’opportunità ma anche
un rischio: su di lui potrebbero piovere i detriti del diffuso
anti-hollandismo che circola nel Paese e nell’elettorato del
partito socialista, E un Valls debole – chissà -potrebbe favorire
ancor di più le chances di Emmanuel Macron, l’uomo nuovo.
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