sabato 21 gennaio 2017

CINQUE APPUNTI TELEGRAFICI SU DONALD TRUMP E NO


Editoriale per la Nwsl n. 421, 20 gennaio 2017  
Pietro Ichino
STIAMO ATTENTI A NON LIQUIDARE IL NEO-PRESIDENTE U.S.A. COME “POPULISTA”, O “DI ESTREMA DESTRA”: È IL NUOVO LEADER DEI “SOVRANISTI” DI TUTTO IL MONDO, I CUI ARGOMENTI NON SONO IRRAGIONEVOLI, NÉ PROPRI DELLA SOLA DESTRA, MA VANNO CONTRASTATI DIMOSTRANDO CHE LA GLOBALIZZAZIONE PUÒ CONVENIRE DAVVERO A TUTTI.
1. Sarà anche politicamente scorretto, ma, per favore, non chiamiamolo “populista”: è il leader mondiale dei sovranisti, cioè di coloro che considerano meglio porre un forte freno alla libertà di movimento delle persone, dei capitali e delle merci. Stiamo attenti: gli argomenti dei sovranisti non sono affatto irragionevoli. Sono convinto che siano sbagliati; ma è certo che la forte accelerazione del fenomeno della globalizzazione, per il modo in cui si è verificata negli ultimi due decenni, ha alimentato non poco quegli argomenti.
2. Se vogliamo battere i sovranisti di casa nostra, occorre per prima cosa capire i loro argomenti, almeno quelli che all’incirca corrispondono alla parte sensata dei discorsi di Donald Trump. E imparare a contrastarli con argomenti contrari più forti e con i comportamenti corrispondenti. Il più efficace consiste nell’individuare con precisione, indennizzare e sostenere le minoranze che dalla globalizzazione escono danneggiate. Anche perché questo è il miglior antidoto contro l’ansia da globalizzazione, della quale soffre anche una parte consistente della maggioranza che non ne sarà affatto danneggiata, ma teme di poterlo essere.
3. Un altro errore da non fare è considerare Donald Trump “di destra”: Bernie Sanders, leader dell’ala sinistra del Partito Democratico U.S.A., ha esplicitamente detto di concordare sulla maggior parte delle misure di politicaq economica proposte da Trump. Barak Obama ha un bel dire – peraltro con piena ragione – che contro la fame nel mondo ha fatto più la globalizzazione negli ultimi cinquant’anni, di quanto abbiano fatto tutti i movimenti sindacali, socialisti o comunisti negli ultimi due secoli; ma, sui due lati dell’Atlantico, la fame è vista come un problema degli outsiders e degli stranieri; mentre le ali sinistre, in genere, si occupano prevalentemente degli insiders indigeni.
4. Il trumpismo può piacere molto agli insiders di ciascun Paese anche sul versante degli imprenditori: la politica industriale del neo-presidente U.S.A. consiste nel difendere le strutture produttive esistenti contro i new entrants provenienti da fuori, ma così facendo finisce necessariamente per difenderle un po’ anche contro i new entrants indigeni. Gli anti-sovranisti di casa nostra devono essere convincenti nello spiegare agli elettori che, invece, tutti stanno meglio se si consente ai new entrants più bravi – stranieri o indigeni che siano – di venire in casa nostra a sostituire gli insiders meno bravi; e se, beninteso, nel contempo si indennizzano e sostengono i dipendenti di questi ultimi nel passaggio alle imprese migliori, che valorizzeranno meglio il loro lavoro.
5. Andiamoci piano anche nel considerare l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca come una iattura per l’Europa. Se il neo-presidente farà davvero quello che dice, cioè preferirà l’amicizia con la Russia di Vladimir Putin a quella con noi intesi come UE, questo ci costringerà finalmente, per non rischiare di avere tra poco i russi in Ucraina e nelle repubbliche baltiche, a darci un dispositivo di difesa europeo sul fronte nord-est; e già che ci siamo anche sul fronte sud-est, dove la situazione non è certo più tranquilla. Il che implica che ci sia un vero ministro della Difesa comune. E quindi anche un vero ministro del Bilancio comune. Potremo continuare a litigare sui decimali di punto di deficit e a star fermi sulle cose che contano soltanto se la maggioranza repubblicana del Congresso di Washington non consentirà a Donald di fare quello che dice di voler fare.

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