Umberto De Giovannangeli
L'Unità 21 agosto 2016
Lo “spirito di Ventotene” non è
quello che ispira gli edificatori di muri, quelli che s’illudono
che frontiere blindate possano garantire la sicurezza dell’Europa.
L’europeismo è l’esatto contrario
Non è un caso se Matteo Renzi ha fatto
rotta sull’isola simbolo del sogno europeo, invitando gli altri due
leader europei che possono fare la differenza e cambiare davvero
verso ad una Unione ormai da tempo decisamente smarrita. È tempo di
invertire la rotta puntando sulla crescita, di gestire il fenomeno
dei rifugiati, di darsi una politica estera e di difesa continentale.
Cambiare verso per ridare un senso all’idea stessa di Europa e per
non essere relegati ai margini dei grandi processi economici e
geopolitici che investono il pianeta.
Ora servono i fatti, e non più le
parole. Perché non saranno le parole a contrastare i trafficanti di
esseri umani, a dare un futuro ai tanti “Omran” violentati dalle
guerre. Non saranno le parole a costruire un rapporto fruttuoso
tra l’Europa e l’Africa. E non è con le parole che si riuscirà
a contrastare l’affermar si nel vecchio Continente di partiti e
movimenti populisti.
È tempo di fatti. Ed è questo il vero
banco di prova per i tre leader che domani si riuniranno a Ventotene.
Italia, Germania e Francia devono recepire lo “spirito” che animò
gli ispiratori di quel “Manifesto” che ancora oggi rappresenta la
visione più alta, nobile, di una idea federalista dell’Europa,
l’unica praticabile se si vuole evitare che il futuro sia segnato
da altre “Brexit”. O si cambia verso o l’Europa è destinata
ancor di più a sfiorire, anzitutto nei cuori dei suoi cittadini.
L’Europa dell’austerità,
dell’iperrigorismo ha prodotto una devastazione sociale senza
precedenti, alimentando sacche di marginalità, impoverendo le classi
medie, frustrando le aspettative delle giovani generazioni. Una nuova
Europa è quella che riscopre la forza di un “neo keinesismo”,
che non penalizza ma incentiva gli investimenti pubblici in settori
strategici quali l’istruzione, la ricerca, la green economy, le
infrastrutture.
Un tema, questo, su cui l’Italia ha
insistito negli ultimi due anni, facendone il tratto caratterizzante
del suo agire a Bruxelles e nei vertici multi e bilaterali. La storia
non si fa con i se e con i ma. Tuttavia, è lecito interrogarsi sul
tempo perduto quando, con i governi Berlusconi e dei tecnici,
l’Italia è stata se non silente di certo sulla difensiva rispetto
alle scelte scellerate di politica economica e fiscale imposte da
Bruxelles (e da Berlino).
E ai “soloni” nostrani che
impartiscono ancora oggi lezioni di bon ton diplomatico e
di realpolitik, andrebbe ricordato che alzare i toni, a supporto
di progetti concreti come il “Migration Compact”, o sulla
flessibilità, non solo rende più autorevole l’Italia ma rafforza
il fronte anti-austerità. Nessuno può vincere da solo le sfide
della globalizzazione, neanche il Paese economicamente più forte in
Europa: la Germania. E nessuno può da solo contrastare il terrorismo
jihadista, sconfiggere lo Stato islamico, dare stabilità al Vicino
Oriente, neanche il Paese militarmente più attrezzato in Europa: la
Francia.
Dotarsi di una politica estera comune e
di un esercito europeo non è un esercizio per romantici idealisti ma
una necessità del presente. L’Europa o è questo o non è. Lo
“spirito di Ventotene” non è quello che ispira gli edificatori
di muri, quelli che s’illudono che frontiere blindate possano
garantire la sicurezza dell’Europa. L’europeismo è l’esatto
contrario: è inclusione, nuovi diritti sociali e di cittadinanza. È
l’Europa che guarda ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo in
termini di opportunità di crescita comune e non come minaccia da
neutralizzare. È l’Europa che avvia a quel “Piano Marshall per
l’Africa” delineato dall’Italia ma che o diventa europeo oppure
arricchirà il già ponderoso libro delle occasioni perdute. Lo deve
a quell’umanità sofferente che fugge dall’inferno di guerre,
pulizie etniche, povertà assoluta, disastri ambientali, e che bussa
alle nostre porte per veder riconosciuto il diritto più importante:
quello alla vita.
Le lacrime non servono. Occorre
moltiplicare i corridoi umanitari, contrastare con maggiore efficacia
gli schiavisti del Terzo millennio, praticare una solidarietà
fattiva verso quei Paesi, come l’Italia, che in questi anni, grazie
alla straordinaria abnegazione degli uomini della Guardia costiera e
delle ong impegnate sulle rotte e i porti della disperazione, grazie
alla quale sono state salvate decine di migliaia di vite umane. Per
questo ci attendiamo molto dal vertice di Ventotene.
Nessun commento:
Posta un commento