Pierluigi Castagnetti
20 giugno 2016
"Non è stato un voto di protesta,
ma di cambiamento", ha appena detto Matteo Renzi. Le due
valutazioni peraltro non sono in contraddizione: si protesta perché
si vuole un cambiamento; si vuole cambiare perché non piace la
situazione precedente. Io mi limito a osservare che non si tornerà
indietro, chi ha votato in un certo modo lo ha voluto fare e non è
vero che può essersi pentito: le esperienze passate ce lo
confermano. E, dunque, chi pensa che se il Pd si fosse collocato un
po' più a sinistra o un po' più a destra avrebbe vinto, metta il
cuore in pace: è cambiato lo stato d'animo dei cittadini, la loro
mobilità elettorale, il loro abbandono di ogni senso di appartenenza
ideologica. Sarà bene che nella Direzione nazionale Pd del 24 giugno
lo si consideri. Ci possono essere macro-questioni specifiche nei
risultati di Roma e di Torino su cui meriterà soffermarsi. Ad
esempio, sin dall'inizio della campagna di Roma mi è capitato di
osservare con Giacchetti che non riuscivo a capacitarmi del fatto che
tutta la grande indignazione per lo scandalo di mafia-capitale si
scaricasse solo sul Pd mentre veniva graziato l'arcipelago delle
destre, pur essendo stato quello scandalo incubato e costruito sotto
la gestione Alemanno. Forse andava denunciato nettamente da parte Pd.
Fermo restando che verso questo partito si è ripetuto
l'atteggiamento che l'elettorato manifestò nei confronti della Dc al
tempo di tangentopoli: vi sono forze politiche, infatti, che avendo
dichiarato nel proprio Dna l'esigenza etica, quando la contraddicono
- non importa la misura -non vengono assolutamente perdonate, mentre
verso altre vi è maggiore tolleranza. La questione morale è cosa
ben più ampia e seria della questione delle indennità parlamentari,
dovremmo sempre saperlo. A Torino, invece, a me pare che sia prevalsa
la volontà di spezzare il circuito di un establishment che da troppi
anni controlla la città e noi, senza sottovalutare i grandi meriti
di Fassino, siamo vissuti come parte di tale sistema. Il caso o
l'intelligenza dei nostri avversari ha messo in campo una candidata
di una certa qualità (un amico che la conosce bene me l'ha definita
una "democristiana" di qualità: si vedrà) e ciò ha
concorso a determinare quel risultato. In entrambe queste metropoli
poi abbiamo assistito (basta esaminare il voto di zona) a una vera e
propria esplosione di rabbia popolare. La condizione reale della vita
delle persone sta tornando un motore politico di straordinaria forza.
Conclusione: la politica, in particolare la politica del Pd, deve
tornare a incarnarsi maggiormente nella realtà, deve cercare di
conoscerla prima di ogni altra cosa, deve spiegare le proprie scelte
difficili con parole umili e convincenti, trasmettendo la sofferenza
per non riuscire a soddisfare le esigenze più gravi e urgenti
assicurando che le stesse continueranno a rappresentare il proprio
assillo. Meno circolano ideologie e fedi religiose, più c'è
necessità di calore umano anche nel linguaggio politico. E infine: è
necessario dedicarsi sistematicamente alla coltivazione di una
militanza politica personalmente disinteressata e capace di tenere
l'orecchio a terra. Per non avere sorprese, almeno. Per fare questo
non è necessario separare il doppio incarico, anzi!, è necessario
avere un progetto preciso al riguardo. E fede.
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