Mario Lavia
L'Unità 19 dicembre 2015
La vicenda parlamentare della sfiducia
a Boschi conferma la mancanza di strategia e di ambizione del nuovo
gruppo.
Vedere Sel, o Sinistra Italiana come si
chiama adesso, attovagliarsi al tavolino da picnic di Grillo e
Salvini proietta una luce malinconica su un partito che si considera,
ed è, ancorato ai valori e alle pratiche della sinistra italiana.
Non ha alcun senso politico accodare il proprio vagone ad un treno
propagandistico peraltro guidato da una macchinista che con gli
ideali della sinistra ha veramente poco a che fare come il Dibba.
Soprattutto, in mancanza di argomenti di merito forti.
Già, perché il buon Arturo Scotto, il
capogruppo di Si, ieri in aula è dovuto ricorrere ad un fantasioso
«conflitto d’interessi potenziale» per trovare uno straccio di
motivazione che giustificasse il sì alla mozione grillina, una
inedita fattispecie giuridica che grida vendetta davanti a qualunque
manuale di diritto privato, oltre che al buon senso. Ma non basta:
l’ha buttata in politica, Scotto, un pochettino più rozzamente di
quanto la sua esperienza politica potesse far supporre: «Non ci
agganceremo mai al vagone di un governo che compie scelte sbagliate
sul terreno del lavoro e dell’economia. Non è possibile che da due
anni e mezzo non si sia ancora cominciato a lavorare alla legge sul
conflitto di interessi».
E cosa c’entra la politica economica
con il merito della accuse a Boschi? Nulla. Ma il problema di
Sinistra italiana va evidentemente oltre la performance di Scotto. Ed
è un problema di strategia, cioè il problema eterno dell’analisi
e della individuazione dell’avversario principale. I leader di
Sinistra italiana non pare si pongano l’obiettivo di crescere, di
andare oltre gli angusti limiti del 3-4% (e ringraziassero il cielo
che l’Italicum fissa la soglia di sbarramento al 3, quella è stata
davvero una norma ad partitum), di superare l’identità di
“cespuglio”: in una parola, di diventare “grandi”. Perché se
davvero cercasse di andare oltre la logica antica e comoda della
testimonianza, di bypassare la mentalità del gruppuscolo, Sinistra
italiana andrebbe a lavorare là dove ci sono suoi voti potenziali,
persone conquistabili, ambienti socialmente familiari: e cioè nel
vasto bacino che oggi è presidiato da Cinquestelle.
Invece niente. Il nemico è Matteo
Renzi, e stop. E Matteo Renzi va preso di punta, e prima di tutto. Da
quando c’è Renzi, il partito di Vendola è regredito su posizioni
ultraminoritarie smarrendo completamente il riferimento del governo,
la comprensione della complessità dei problemi, il gusto della
fatica della ricerca di soluzioni. Di qui discendono comportamenti
politici e parlamentari alla fine inutili: ostruzionismi e, appunto,
propagandistiche mozioni di sfiducia.
La bussola non è la ricerca di intese,
pur nella polemica, con il Pd che piaccia o no è evidentemente il
partito basilare del sistema politico e nettamente centrale nel
centrosinistra, come non è lo lo sforzo per trovare alle
amministrative candidature comuni (a proposito, una domanda: ma a
Torino al secondo turno voteranno Fassino o la Appendino?); ma il suo
contrario, come fare cadere il governo e dare un colpo alla
leadership di Renzi. Esattamente quello che dice Grillo. Però, e va
detto con una certa amarezza, fra Grillo e Scotto la gente vota
Grillo.
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