Sabino Cassese
Corriere della Sera 9 dicembre 2015
Si moltiplicano le
voci di allarme sullo stato della nostra democrazia. L’astensionismo
rende debole la rappresentanza. I cittadini sono privati del potere
di scegliere i loro rappresentanti. Il governo fagocita il
Parlamento. La dirigenza politica è inadeguata sul piano
istituzionale e nello spazio internazionale. Vi sono un uomo solo al
comando, presidenzialismo strisciante, pericoli di autoritarismo. Le
riforme avviate vanno nella direzione sbagliata e ci conducono fuori
della democrazia parlamentare e del disegno costituzionale. I poteri
si spostano dallo Stato alle oligarchie finanziarie e industriali
internazionali.
Sono corrette queste diagnosi
catastrofiche? C’è qualcosa di vero in questi segnali di pericolo?
Gli indicatori dello stato di salute della nostra democrazia non
confermano queste interpretazioni allarmistiche. Se si sommano tutti
i rappresentanti popolari periodicamente eletti in tutte le sedi di
decisione (Comuni, Regioni, Stato, Unione Europea) si può dire che
poche nazioni danno tanta voce alle scelte popolari quanto l’Italia.
Se, poi, si calcolano regolamenti comunali, leggi regionali e
nazionali, direttive e regolamenti europei, si nota che gli organi
rappresentativi sono in buona salute, attivi, pronti a fare e disfare
leggi e norme (qualche volta, anzi, troppo attivi). Se si considera
il ruolo svolto dai contropoteri, si registra una loro complessiva
crescente indipendenza, maggiore in alcuni casi, come quello delle
corti, minore in altri, quale quello delle autorità amministrative
di regolazione.
Se
si misurano i poteri esercitati dal capo del governo, si nota che
essi sono di dimensioni paragonabili con quelli del cancelliere
tedesco, o del primo ministro inglese, o di altri capi di esecutivo,
e ciò per una ragione semplice: chiamati a collaborare
quotidianamente nelle sedi più disparate, dall’Onu all’Unione
Europea, dall’Organizzazione mondiale del commercio al G20, i capi
del governo debbono necessariamente avere poteri comparabili. Se si
considerano le riforme dei «rami alti», quella costituzionale e
quella elettorale, si nota che andiamo in una direzione comune a
tante altre democrazie, con due Camere a diversa investitura e una
formula elettorale che premia la più forte minoranza.
Questo non vuol dire che vada tutto
bene. Ma lamentare catastrofi oscura alcuni mali del nostro sistema
politico, dei quali dovremmo invece preoccuparci. Il primo riguarda
la debolezza del capitale sociale. La società italiana non ha mai
avuto un buon tessuto e, se ha dato prova di capacità di
mobilitazione nelle emergenze, non ha mostrato buone capacità
aggregative nella vita di ogni giorno. Ora i corpi intermedi
languiscono. Le fondazioni, che si sperava dessero voce alla società
civile, sono nelle mani di ristrette oligarchie che si
autoperpetuano.
I partiti, ridotti in organizzazioni di
seguiti elettorali, si sfaldano in Parlamento. I sindacati sono
chiusi nel loro particulare . Le elite - quelle poche che abbiamo -
si comportano da caste.
Il secondo riguarda le forme della dialettica politica. Qui le opposizioni non cercano una voce per sé, un riconoscimento formale, un proprio «statuto», in vista di diventare maggioranza, ma tentano solo di buttare sabbia nelle ruote di chi governa. La politica (alleanze, schermaglie, rinvii, tattiche di ogni tipo) oscura sempre le politiche, cioè gli indirizzi, di governo e di opposizione, rendendo incomprensibili all’elettorato le linee di azione delle varie forze. Infine, la macchina dello Stato da troppo tempo è senza una guida. Quindi, i migliori suoi servitori sono disorientati, mentre i peggiori traggono profitto dall’assenza di orientamenti per consolidare posizioni di potere, corporative, o semplicemente benefici e rendite di posizione. Gli utenti, i cittadini, subiscono e si lamentano, pagando la tassa occulta che deriva dalla cattiva gestione dei servizi.
Il secondo riguarda le forme della dialettica politica. Qui le opposizioni non cercano una voce per sé, un riconoscimento formale, un proprio «statuto», in vista di diventare maggioranza, ma tentano solo di buttare sabbia nelle ruote di chi governa. La politica (alleanze, schermaglie, rinvii, tattiche di ogni tipo) oscura sempre le politiche, cioè gli indirizzi, di governo e di opposizione, rendendo incomprensibili all’elettorato le linee di azione delle varie forze. Infine, la macchina dello Stato da troppo tempo è senza una guida. Quindi, i migliori suoi servitori sono disorientati, mentre i peggiori traggono profitto dall’assenza di orientamenti per consolidare posizioni di potere, corporative, o semplicemente benefici e rendite di posizione. Gli utenti, i cittadini, subiscono e si lamentano, pagando la tassa occulta che deriva dalla cattiva gestione dei servizi.
Sono questi i veri problemi, che gli
annunciatori di catastrofi finiscono per oscurare. La loro soluzione
non è facile, non dipende dal governo, è legata alla storia, al
modo in cui si è formata la società italiana, al ruolo svolto dalla
classe dirigente, al non sanato divario tra Nord e Sud, alla
insufficiente cultura organizzativa diffusa, allo stile e ai costumi
della politica. Questo non vuol dire che non possano essere
affrontati e risolti. Vuol dire che richiedono un’opera di
ingegneria sociale lunga e complessa, non pianti, sgomenti e allarmi.
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