Andrea Romano
L'Unità 9 marzo 2017
E’ chiara l’intenzione di aprire
una nuova stagione nella proposta politica e culturale del renzismo
L’appuntamento del Lingotto permette
di collocare il “renzismo” in prospettiva storica, guardando da
una parte alle tappe più recenti che hanno condotto il PD dove si
trova oggi e dall’altra alle principali innovazioni che si
annunciano nel profilo politico della proposta di Matteo Renzi. Per
quanto non sia una pratica molto diffusa, persino all’interno della
comunità PD, giova sempre ricordare cos’è accaduto nella sinistra
italiana negli ultimi cinque anni. E dunque il voto legislativo del
2013, con la “non vittoria” di Pierluigi Bersani, i tre milioni e
mezzo di voti persi dal 2008, l’incombere di uno stallo drammatico
nella vita politica e istituzionale del paese dinanzi sia all’assenza
di una chiara maggioranza parlamentare sia all’emersione della
forza rabbiosa e distruttiva dei Cinque Stelle. Un incrocio che
produsse in tempi rapidi la caduta della segreteria Bersani e l’avvio
di una fase di governo di carattere insieme trasversale ed
emergenziale, mentre un PD tramortito guardava al proprio interno e
intorno a sé per capire quale (nuova) strada percorrere.
La leadership di Matteo Renzi si
afferma in quel contesto, rispondendo ad un bisogno radicale che era
insieme di discontinuità e direzione avvertito a tutti i livelli del
partito. E quella leadership, per come si era costruita negli anni
precedenti, aveva in quel momento l’aspetto insieme “garibaldino”
e “pratico” del giovane sindaco di una grande città che si era
candidato a ribaltare il PD e la sua percezione pubblica. Da qui la
centralità che nell’azione di governo fu data immediatamente alle
“cose da fare” – e da fare subito, con l’urgenza avvertita da
gran parte del paese oltre che dalla politica – e insieme il rinvio
ad un secondo e successivo momento della costruzione dei contenuti
culturali e organizzativi dell’innovazione che Renzi e il renzismo
avevano portato con sé nel Partito democratico.
Anche solo guardando alla sintesi della
proposta programmatica della candidatura di Renzi a queste nuove
primarie, oltre che al programma del Lingotto, si avverte con
chiarezza l’intenzione di aprire una nuova stagione nella proposta
politica e culturale del renzismo. Non si tratta tanto della
sconfessione delle cose fatte – perché al netto di insufficienze
che pure vi sono state sarebbe velleitario (e persino fantasioso)
pretendere che il Partito Democratico non si consideri e non sia
percepito come la forza politica che ha concretamente guidato
l’Italia dal 2013 in avanti – quanto piuttosto della volontà di
allargare e consolidare le basi per l’appunto culturali e
organizzative del renzismo.
Un segnale molto significativo, da
questo punto di vista, è lo spazio dedicato al tema del partito sia
nelle linee programmatiche sia nella stessa organizzazione dei lavori
del Lingotto, con un seminario riservato a quello che è stato forse
l’argomento più negletto in questi ultimi anni di vita del PD.
L’esigenza di ripensare le forme organizzative del partito appare
insieme un’urgenza dettata dai fatti, in quella che appare la
stagione della massima delegittimazione della politica, e una
risposta alla necessità di dare respiro, solidità e persino
protezione all’innovazione radicale di linguaggi e contenuti venuta
con la leadership di Renzi.
Un buon metodo per il futuro, dove il
rilancio della nostra proposta politica non sia concepito solo come
orgoglio per le cose fatte ma anche e soprattutto come la costruzione
di un condominio (politico, organizzativo e culturale) più solido
sulle basi nuove che sono state poggiate nella rocambolesca stagione
del 2013-2014.
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