Massimo Gramellini
Il Corriere della Sera 8 marzo 2017
Lasciare il Pd? Come
strappare un cerotto: fa male, però dopo si sta meglio» dichiara
con noncuranza D’Alema, la vasta mente già proiettata sulle
prossime disfatte. E a chi lo ascolta cascano i cerotti e magari non
solo quelli. Ma come? Avete occupato per anni la scena mediatica con
la cronaca dei vostri bisticci da cortile spacciati per questioni di
principio. Avete bloccato per almeno un anno i lavori del Parlamento
con la disfida dei Sì e dei No, le leggi elettorali perennemente
interrotte, le paccottiglie tattiche su primarie aperte, chiuse o
cabriolet. Poi le correnti, gli spifferi, le scissioni agitate come
clave di pastafrolla, le elezioni anticipabili, i governi a scadenza
tipo yogurt. E tutto questo, dicevate, perché il Pd era il centro
pulsante del sistema. L’architrave della democrazia. Avete creato
intorno alla sua disgregazione un clima solenne da tragedia
nazionale. E adesso che il dramma è finalmente compiuto, il capo dei
congiurati minimizza il suo stesso operato e celebra il distacco con
un’alzata di spalle? Se ne deduce che il primo a non avere mai
creduto fin dall’inizio che il Pd fosse una cosa seria è stato
lui, con buona pace dei militanti che invece ci avevano investito
tempo e passione, e oggi si sentono sconfitti come coniugi alle prese
con un fallimento matrimoniale. Si è strappato il cerotto, dice. Il
guaio è che, prima di strapparselo, se l’era messo, indossandolo
per anni come una medaglia. Perché a questo ormai si è ridotta la
politica. A un mettere e togliere cerotti sopra ferite che non
guariscono mai.
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