Fabrizio Rondolino
L'Unità 23 dicembre 2016
Il voto referendario sembra dunque aver
congelato gli schieramenti in campo: e il suo risultato ha confermato
nelle proprie convinzioni la stragrande maggioranza dell’opinione
pubblica
Il referendum del 4 dicembre ha davvero
rivoluzionato il paesaggio politico italiano, rilanciando la corsa
del Movimento 5 stelle verso il governo e lesionando gravemente la
figura e il potenziale elettorale di Matteo Renzi? Nonostante le
analisi – o gli auspici – di qualche frettoloso commentatore,
sembrerebbe proprio di no.
“Sorprende un poco, anzi, non poco,
questo sondaggio – scriveva Ilvo Diamanti ieri su Repubblica
commentando l’ultimo sondaggio Demos –, perché, dai dati delle
interviste, non sembra sia cambiato molto, nell’orientamento degli
elettori. Verso il governo, verso i partiti, verso lo stesso Renzi.
Nonostante le grandi polemiche e le mobilitazioni che, negli ultimi
mesi, hanno opposto il ‘fronte del Sì’ e il ‘fronte del No’,
le stime di voto non mostrano cambiamenti significativi rispetto alle
settimane prima del referendum. Il Pd – malgrado la ‘sconfitta
personale’ del leader – risulta stabile, primo partito, appena
sopra il 30%. Seguito dal M5S, quasi 2 punti sotto. In calo di poco
più di un punto”. Neppure il gradimento di Renzi ha subito scosse:
anzi, secondo i dati raccolti da Diamanti sarebbe addirittura salito
di un punto, al 44%, mentre Beppe Grillo resta lontano al 31%.
Il voto referendario sembra dunque aver
congelato gli schieramenti in campo: e il suo risultato ha confermato
nelle proprie convinzioni la stragrande maggioranza dell’opinione
pubblica. Vista da punto di vista di Renzi, la situazione è
senz’altro di grande interesse. A leggere i giornali e a guardare i
talk show, infatti, l’ex presidente del Consiglio appare circondato
da una generale ostilità, la sua parabola politica si sarebbe già
ingloriosamente conclusa, e le possibilità di ritorno sulla scena
sarebbero assai limitate. Al contrario, lo studio di Diamanti
dimostra che il consenso di Renzi è rimasto intatto e che il suo
partito gode della fiducia di poco meno di un terzo dell’elettorato.
L’idea di abbattere il renzismo per
via referendaria, accarezzata tanto da Grillo e dalla Lega quanto
dalla minoranza del Pd, sembra dunque rivelarsi illusoria. Renzi ha
perso consenso nel corso dell’ultimo anno e mezzo – e infatti ha
perso il referendum –, ma lo “zoccolo duro” di cui dispone,
probabilmente galvanizzato proprio dalla sconfitta, lo colloca
tuttora al centro del paesaggio politico. In queste condizioni, e
tanto più se si dovesse votare con una legge di impianto
proporzionale, la prossima legislatura ricomincerebbe là dove si è
interrotta: con una forza politicamente omogenea, guidata da un
leader riconosciuto, che gode del consenso della maggioranza relativa
dell’elettorato, e un’“accozzaglia” numericamente forte ma
politicamente debolissima e strutturalmente incapace di offrire
un’alternativa di governo.
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