David Sassoli
29 dicembre 2016
Il governo impossibile di Roma,
titolava un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere
della Sera. Una riflessione che ha per sottofondo una domanda che
dovrebbe tenere banco nel dibattito politico nazionale: come è
possibile amministrare la Capitale? Le amministrazioni di segno
politico diverso si susseguono, i problemi restano e naturalmente si
aggravano.
Ogni partito alle prese con il
Campidoglio sembra destinato a mettere in pratica il suo volto
peggiore. Ne risultano scandali a ripetizione, inefficienza cronica,
bassa qualità del ceto politico, deregulation in ogni ambito della
vita cittadina. Tutto questo, naturalmente, a fronte di promesse di
cambiamento che non arrivano mai. E forse non possono arrivare.
Galli della Loggia indica alcuni
problemi strutturali di fondamentale importanza: il rapporto fra
politica e dirigenza, la natura della pubblica amministrazione, la
perdita di controllo del territorio da parte del Comune. I temi ci
sono tutti e non vanno sottovalutati, ma forse non esauriscono la
"questione delle questioni" che oggi più di ogni altra
rende difficile, se non impossibile, il governo della Capitale così
com'è.
Come si può governare il più grande
territorio comunale d'Europa? Gran parte dei mali indicati
dall'editorialista del Corriere della Sera, infatti, riportano a
questa domanda, semplice semplice, ma mai affrontata da una classe
politica alla ricerca continua di scorciatoie. E non basta dire che
il Campidoglio stipendia 60mila persone, perché Parigi con un
territorio più piccolo ne stipendia di più. Le capitali,
d'altronde, sono grandi macchine amministrative.
Una recente ricerca dimostra che in 600
città passa la ricchezza del mondo. Non è un caso. E anche da noi è
così. Cosa sarebbe la Francia senza Parigi, il Regno Unito senza
Londra, la Spagna senza Madrid e via dicendo? All'Italia, invece,
manca Roma. Avrete notato, per esempio, che nelle ultime
amministrazioni nessuno ha mai perso un minuto del proprio tempo a
parlare di un piano strategico della città? Si parla di assessori,
sottobosco, clientele ma mai nessuno ha sentito la necessità di
discutere e investire su uno strumento di programmazione usato in
tutto il mondo per dare orizzonte e continuità all'azione
amministrativa.
La politica politicante, poi, ha spesso
usato la "cretineria" per ammaliare i romani, con la
complicità dei mezzi di comunicazione, arrivando anche a sostenere
che il proprio ideale era una città a misura di bambino...
Sta di fatto che Roma muore. E qui, al netto delle penose vicende che la cronaca ci propone ogni giorno, occorre uno scatto di serietà. Da otto anni la città non è governata, il sindaco Raggi potrà resistere ma non andrà da nessuna parte perché la Capitale non è amministrabile con gli strumenti attuali.
Sta di fatto che Roma muore. E qui, al netto delle penose vicende che la cronaca ci propone ogni giorno, occorre uno scatto di serietà. Da otto anni la città non è governata, il sindaco Raggi potrà resistere ma non andrà da nessuna parte perché la Capitale non è amministrabile con gli strumenti attuali.
Se poi imbarchi personale sbagliato e
ti affidi ad ambienti opachi e affaristici dopo aver predicato
discontinuità, la frittata è fatta. I motivi per sviluppare
opposizione ci sono tutti sia chiaro e non è vero che un M5S sia
uguale a uno del Pd o di Forza Italia. Ma la "questione delle
questioni" torna a essere prioritaria e riguarderà anche coloro
che arriveranno dopo la Raggi perché Roma continua a essere vista
come un peso e non come una risorsa.
Su questo blog nel novembre del
2015 avevamo chiesto di utilizzare la tregua prefettizia per una
riforma della struttura amministrativa della Capitale. È compito del
Parlamento affrontare questa sfida. Niente è stato fatto e i dolori
sono all'ordine del giorno. Abbiamo rieletto municipi che appaiono
enti inutili perché privi di bilancio, urbanistica e quant'altro;
abbiamo accentrato in Campidoglio ancora più poteri con la
formazione di un'area metropolitana buona per Milano e Napoli ma
dannosa per Roma.
E allora su stimolo di Galli della
Loggia, ricominciamo daccapo. Innanzitutto cerchiamo di capire di
cosa stiamo parlando. Roma (1.285,30 kmq) ha un territorio grande
quanto la somma dei Comuni di Milano, Napoli, Torino, Palermo,
Genova, Bologna, Firenze, Bari e Catania. La nostra Capitale è un
unicum. In Europa, la sua area è superiore a quella di Berlino,
Parigi e Madrid. Anche New York e Mosca hanno territori più piccoli.
L'estensione è certamente importante, ma fino a un certo punto. Il
problema è come si amministra il territorio.
Da noi tutto è accentrato al
Campidoglio mentre nessuna grande città è amministrata in questo
modo. Ci sarà pure un buon motivo. E ci sarà un motivo per cui
tutta la vita della Capitale si svolge sempre all'insegna
dell'emergenza. Roma è l'unica grande città europea in cui quasi 3
milioni di abitanti e circa 150mila ettari di territorio sono riuniti
in un solo Comune. Una situazione che ha sviluppato, nel corso della
sua storia moderna, una costante cultura dell'emergenza e ha prodotto
- a parte alcune esperienze a cavallo del secolo scorso con le
amministrazioni Rutelli e Veltroni - disprezzo per gli strumenti
della pianificazione e una ricerca costante e umiliante di interventi
straordinari. La stessa vita quotidiana della città si svolge sempre
all'insegna dell'emergenza, deresponsabilizzando così politica e
amministrazione.
Tutte le grandi metropoli, invece, si
caratterizzino per una forte diversificazione di poteri e competenze.
Da noi, i 15 Municipi di Roma sono senza bilancio, hanno poteri
delegati e riferiti solo ad alcune materie; al contrario, in gran
parte delle grandi città europee si tratta di veri Comuni, con tanto
di sindaco, bilancio, urbanistica, servizi di controllo,
responsabilità sulla manutenzione. Molto spesso hanno anche poteri
sui servizi sociali, edilizia popolare, raccolta e smaltimento
rifiuti, come a Londra.
A Bruxelles, città di poco più di un
milione di abitanti, vi sono 19 Comuni autonomi e alla Région de
Bruxelles è demandata la competenza sulle grandi opere, la
metropolitana, i trasporti pubblici, le politiche ambientali e
abitative, la lotta alla disoccupazione. Sembra strano ma non lo è,
ma in numerose esperienze europee i Comuni si occupano anche di
politiche per il lavoro. Il resto a Bruxelles - bilancio,
pianificazione urbana, manutenzione, cultura, assistenza sociale - è
sotto la responsabilità del sindaco di Ixelles, Anderlecht, Saint
Gilles, etc.
Anche Londra è dotata dal 1999 di un
ordinamento specifico, disciplinato dalla Greater London Authority
Act (GLA). La Grande Londra è una delle 8 regioni del Regno Unito, e
comprende 33 Borghi (Boroughs) fra i quali c'è la City, un'area di
un miglio quadrato in centro città. Sia la Grande Londra che i
Borghi hanno sindaci e assemblee elette. Competenze: la GLA non
fornisce servizi ai cittadini, ma detiene responsabilità
strategiche, sul sistema dei trasporti, della sicurezza e dei sistemi
antincendio, della pianificazione strategica e dello sviluppo
economico. I servizi pubblici vendono erogati dai London Boroughs
Council, gli enti più importanti della città: rifiuti, agenzie
delle entrate, scuole, biblioteche, servizi sociali, manutenzione,
edilizia popolare, salute ambientale, politiche per il tempo libero.
Un altro esempio utile viene dalla
Spagna. Il governo della capitale spagnola è regolato da uno statuto
speciale e strutturato su due livelli: municipale (l'Ayuntamento) e
regionale (la Comunidad). Anche a Parigi, Comune e Arrondissements
regolano, anche se in maniera diversa, le proprie competenze.
Sarebbero modelli utili anche per la nostra Capitale?
Di certo, Roma ha bisogno rapidamente
di una profonda riforma politico-amministrativa per troncare, per
esempio, la contrapposizione esistente fra la città consolidata -
quella "storica" che contiene tutte le funzioni - e le
periferie, in cui abita l'80 per cento dei cittadini. E soprattutto
per favorire logiche di integrazione e riqualificazione di vaste aree
abbandonate e prive di servizi, in cui si esasperano squilibri
sociali, privilegi di casta, vergognosi sprechi di risorse pubbliche.
Per programmare sviluppo della città e
richiamare alle proprie responsabilità la politica e
l'amministrazione, Roma deve diventare una "città delle città".
Una municipalità con sette-otto vere città. I modelli non mancano.
Come può il Campidoglio garantire la semplice manutenzione a Ponte
Celori o al Torrino? Impossibile con il sistema attuale. Le buche
possono restare aperte per anni, e così i marciapiedi rotti, gli
alberi spezzati...
La perdita di controllo del territorio
da parte del Comune è inevitabile. I mali di Roma indicati
dal Corriere della Sera sono malattie curabili solo con un
radicale intervento da parte del legislatore. È possibile un patto
per Roma fra le forze politiche hanno sperimentato sulla loro pelle
che non basta vincere le elezioni se non si ha la possibilità per
governare? Se non si risponde a questa domanda non resta che
assistere impotenti al declino della città.
Caro Galli della Loggia, se il suo non
vuole essere soltanto lo sfogo di un intellettuale per dispensare,
fra le righe, benevolenza nei confronti dell'attuale amministrazione
c'è da augurarsi che anche il suo giornale sviluppi un importante
dibattito sul ruolo e il futuro della nostra Capitale.
Dopo le ultime sciagurate avventure
amministrative abbiamo bisogno che intelligenze e competenze scendano
in campo e richiamino alla responsabilità il Parlamento. Al di là
dei modelli che verranno scelti, una cosa è certa: Roma è moribonda
e ha bisogno di cambiare profondamente il suo modello amministrativo
per essere una risorsa e non un canceroso problema.
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