Giorgio Tonini
L'Unità 30 aprile 2016
O Speranza crede alla sua propaganda,
oppure ci sta solo rifilando una pessima propaganda
Sulla Repubblica di oggi, Roberto
Speranza, a nome della minoranza dem, lancia un allarme: “Se Denis
Verdini entra nella maggioranza, è la fine del Partito democratico”.
Speranza mi perdonerà, ma non riesco
proprio a dare credito alla sua buona fede. Perché per farlo dovrei
dubitare della sua intelligenza. L’intervistatrice, Giovanna
Casadio, gli fa notare infatti che Verdini, che allora era il braccio
destro di Berlusconi, era in maggioranza, insieme al Pd, sia col
governo Monti che con quello Letta. E Speranza, che allora era
capogruppo del Pd alla Camera, risponde così: “Non sono vicende
paragonabili: nel 2013 o si faceva un governo di larghe intese o non
sarebbe nato nessun governo. Oggi invece un governo c’è, il
dialogo con Verdini non è una necessità ma una scelta politica”.
Ecco: un dirigente politico del calibro
di Speranza non può sostenere una tesi del genere senza che
l’interlocutore sia posto dinanzi ad un dubbio radicale: o Speranza
crede alla sua propaganda, e allora incorre in quello che Giancarlo
Pajetta definiva l’errore più frequente e più grave per un
giovane dirigente politico, oppure ci sta solo rifilando pessima
propaganda, con grave detrimento per la sua credibilità. Speranza
non può non sapere che il patto del 2013 è durato poche settimane,
fino al voto sulla decadenza di Berlusconi da senatore e che il
governo Letta sarebbe caduto se Alfano non avesse scelto, insieme ai
suoi, la difficile strada della scissione del Pdl e della fondazione
del Ncd.
Speranza non può non sapere che la
maggioranza rimasta a sostegno del governo Letta non sarebbe riuscita
a portare a termine le riforme costituzionali senza il ritorno di
Berlusconi (con Verdini), non al governo, ma al tavolo delle riforme,
attraverso il famigerato patto del Nazareno. Speranza non può non
sapere che anche quel patto è stato stracciato da Berlusconi, a
causa della scelta da parte del Pd di proporre ed eleggere Sergio
Mattarella presidente della Repubblica e che è stato su questo
passaggio che si è consumata la rottura tra Berlusconi e Verdini.
Speranza non può non sapere che senza i voti del gruppo di Verdini,
al Senato i 161 sì necessari alla riforma sarebbero stati ad
altissimo rischio. Speranza non può non sapere che il gruppo di Ncd
ha perso alcuni senatori, passati all’opposizione, a causa del voto
di fiducia sulle unioni civili, sostenuto invece dal gruppo dei
verdiniani.
Speranza non può non sapere, in
definitiva, che oggi al Senato, senza i verdiniani, la maggioranza
forse c’è e forse non c’è e dunque il dialogo con il gruppo di
Verdini non è una scelta ma una necessità. Poi c’è la politica,
che ci dice cinque cose. La prima è che le varie rotture del patto
del 2013 sono state sempre reazioni a scelte che il Pd ha deciso in
modo unanime: il voto sulla decadenza di Berlusconi, la scelta di
Mattarella per il Quirinale, le unioni civili.
La seconda è che in questa legislatura
i gruppi del Pd sono rimasti uniti e anzi si sono allargati a
parlamentari di Sel e di Scelta civica, mentre è stato nel
centrodestra che si sono consumate numerose e dolorose scissioni.
La terza è che il nostro elettorato ha
compreso e condiviso quella che resta una linea politica difficile
(perché è sempre difficile sostenere a lungo una collaborazione al
governo con gli avversari di sempre), come ha dimostrato il risultato
storico delle europee e quello largamente positivo delle regionali.
La quarta è che ciò è stato
possibile perché nei contenuti dell’azione di governo e
parlamentare abbiamo saputo fare compromessi alti e mai abbiamo
ceduto sui nostri principi e valori di fondo.
La quinta è che c’è un solo modo
per non essere più costretti ad alleanze spurie: portare a termine,
con la vittoria del SI al referendum confermativo, le riforme
costituzionali che renderanno possibile, finalmente, una chiara e
limpida scelta del governo da parte degli elettori. Anche questo,
Speranza non può non saperlo.
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