La Repubblica 26 ottobre 2017
Il suo progetto era l'Ulivo e non
nascose la delusione per come nasceva il Pd
Fu tra i primi sostenitori di Romano
Prodi e tra gli estensori del manifesto che diede vita al nuovo
partito. "Non credo alla formuletta dei riformismi"
«Sì, la politica mi ha appassionato,
come disegno per il futuro, come valutazione razionale del possibile
e come sofferenza per l'impossibile, come aspirazione a
un'uguaglianza irrealizzabile che è tuttavia il tormento della
storia umana. Mi ha interessato la politica per quello che non riesce
a essere molto più per quello che è», confessava Pietro Scoppola
nel libro uscito postumo cui aveva dedicato le ultime energie, Un
cattolico a modo suo. La politica nella sua doppia dimensione
Scoppola l'aveva incontrata da storico di figure che avevano
mantenuto l'equilibrio tra tensione e realismo: Alcide De Gasperi,
Aldo Moro, Giovanni Battista Montini. E da studioso impegnato in
politica, cattolico più liberale che democratico, laico («laico»,
scriveva, «è colui per il quale le cose ci sono nella loro
identità»), allergico ad apparati e mobilitazioni, specie quelle
agitate in nome della fede, credente ma in-appartenente, dentro e
fuori, istituzionale e movimentista.
Esterno, come si erano definiti in
un'assemblea gli intellettuali che volevano cambiare la Dc, il
partito- Stato dei cattolici, ma senza arruolarsi in una corrente,
gli uomini della Lega democratica. Ermanno Gorrieri, Achille Ardigò,
Beniamino Andreatta, Paolo Prodi, Romano Prodi, Paola Gaiotti De
Biase, Luigi Pedrazzi, Nicolò Lipari, Paolo Giuntella, e poi
Leopoldo Elia e un giovane professore palermitano, Sergio Mattarella:
una riserva di intelligenze negli anni del terrorismo politico e
mafioso che si accaniva sui loro maestri, amici, fratelli (Moro,
Piersanti Mattarella, Vittorio Bachelet, Roberto Ruffilli). La vera
radice dell'Ulivo e dunque del Partito democratico.
Di questo gruppo Scoppola era stato
l'indubbio leader, carismatico e tormentato, da quando nel 1974 aveva
guidato il gruppo dei cattolici del No nel referendum sul divorzio,
contrari ad abrogare la legge. Monsignor Giovanni Benelli andò a
cena a casa sua per comunicargli l'irritazione di Paolo VI,
lasciandolo «preoccupato e spaventato e addolorato», come
testimoniò l'amico ambasciatore Gian Franco Pompei. Si era candidato
nel 1983 al Senato come indipendente nella Dc e quando il
rinnovamento era fallito era tornato all'insegnamento universitario.
I capelli bianchi, le sopracciglia folte, lo sguardo ironico, il
professore si fermava a parlare di politica per ore con gli studenti
nel corridoio dopo la lezione di storia contemporanea. «Oggi la
storia si rimette in movimento, dobbiamo abbandonare tutti gli schemi
che ci hanno accompagnato finora», ci accolse in aula la mattina di
un lunedì qualsiasi che invece era la data spartiacque. Lunedì 9
novembre 1989, nella notte la Germania Est aveva aperto le frontiere,
il muro di Berlino era venuto giù. La voce dello studioso vibrava di
emozione. La democrazia occidentale aveva vinto. Ma lui aveva già
capito che da quel momento sarebbe cominciata la sua crisi.
Scoppola all'inizio degli anni Novanta
è tra i promotori dei referendum elettorali di Mario Segni e
dell'amico Arturo Parisi. Sogna la democrazia dell'alternanza e una
nuova casa politica per i democratici. Non è un cambiamento soltanto
di legge elettorale: «Molte proposte di cui si discute rischiano di
essere travestimenti del vecchio ordine, più`cheuna premessa di una
nuova realtà. Il problema non è quello di far nascere una "seconda
repubblica", bensì quello molto più complesso del passaggio da
una "repubblica dei partiti" a una "repubblica dei
cittadini": tanto più`arduo e difficile perché coinvolge
questioni di mentalità e di cultura e non solo istituzionali».
Il suo progetto si chiama Ulivo,
l'Ulivo di Romano Prodi, e poi il Partito democratico. Si impegna
nella presidenza dei Cittadini per l'Ulivo, in giro per l'Italia già
anziano in assemblee, convegni, dibattiti. Del Pd è uno dei padri
fondatori, è nel gruppo ristretto che elabora il manifesto del nuovo
partito, sua una delle relazioni introduttive nell'incontro di
Orvieto del 7 ottobre 2006 che dà il via al processo costituente.
«Crisi di identità e questione democratica, determinismo e libertà,
paura e speranza di futuro, solitudine e amicizia, sono le dicotomie
su cui il partito nuovo dovrebbe costruire la sua identità»,
consiglia, denunciando il ritardo del progetto rispetto al vento
crescente dell'an- tipolitica (il Vaffa day grillino è di un mese
prima). «È in crisi anche la democrazia americana. Ha radici
profonde, ma il suo disagio è evidente e sintomatico», avverte
Scoppola dodici anni prima di Trump.
Qualche mese dopo non nasconderà la
delusione: «Non credo alla formuletta dei riformismi che si
incontrano perché di riformismo in questo paese ce ne è stato poco
per decenni. Il riformismo italiano più che una espressione di
grandi e forti tradizioni politiche è stato un fatto di élites
illuminate. Il Pd ha radici profonde nella storia del Paese o è una
invenzione estemporanea, senza radici e perciò senza futuro?», si
chiede il 17 marzo 2007. «La transizione italiana è povera di veri
leader politici, di grandi disegni, di cultura », ripete nell'ultima
intervista rilasciata a Repubblica, l'8 ottobre. Morirà due
settimane dopo, nei giorni in cui il Pd prende vita.
Dieci anni dopo il Pd è rimasto il
"partito ipotetico" di cui aveva scritto Edmondo Berselli.
E la crisi della democrazia è avanzata, non solo in Italia. Oggi in
politica l'intellettuale o è tutto dentro, consigliere e consulente
del principe di turno, o è tutto fuori, a coltivare il narcisismo
della sua purezza. Per questo è preziosa l'ultima lezione del
professore, che si è sempre sentito esterno ma non estraneo: curioso
degli altri, generoso con le persone, appassionato di tutto. Lo
spazio della coscienza come antidoto al conformismo, all'onnipotenza
della politica degli anni passati, o alla sua nullità di questi
anni. Il filo tenace della responsabilità individuale, senza il
quale la democrazia dei cittadini non arriverà mai.
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