Michele Nicoletti
Una riflessione di qualche anno fa, ma per me ancora attuale, per fare gli auguri più affettuosi al PD e a tutte le democratiche e i democratici.
La democrazia senza aggettivi
1. L’intuizione che ha portato a definire il
nuovo partito come “partito democratico”, uscendo dalla stagione
della botanica e tornando alla centralità delle idee politiche,
ponendo il partito nuovo sulla base dell’idea di democrazia (“la
più bella idea” che la storia della politica abbia partorito), è
stata fondamentale e, ne fossero o meno consapevoli gli artefici di
tale scelta, questa intuizione ha collocato la nuova formazione
politica nel grande alveo della tradizione del pensiero democratico.
Tradizione per nulla vaga e più risalente rispetto a quelle
tradizioni di pensiero a cui di solito si fa riferimento quando si
traccia la genealogia del PD e si invocano – quasi in una sorta di
litania – le divinità protettrici del passato, i
liberaldemocratici, i socialisti, i cattolici democratici e via
enumerando. Se solo si assumesse uno sguardo appena più ampio, ci
si accorgerebbe che queste nobili tradizioni, prima di essere nostre
progenitrici, sono state a loro volta figlie, figlie di quella
tradizione di pensiero democratico che ha portato alle rivoluzioni
americana e francese combattendo l’assolutismo regio e affermando
la sovranità del popolo. E questa tradizione si è certo
manifestata nel corso dell’’800 in forme diverse, nelle correnti
sopra ricordate, ma ha saputo mantenere anche una sua forza
unitaria, operante a livello carsico, ma capace via via di battersi
per i diritti civili, l’abolizione della schiavitù,
l’emancipazione femminile, la giustizia sociale, l’educazione di
tutti, la laicità del politico e il sacro rispetto della coscienza,
e di lottare contro l’imperialismo e il nazionalismo, contro i
fascismi e i totalitarismi di ogni colore, e di darci poi il frutto
della Costituzione, frutto unitario di una lotta unitaria dei
democratici, e di un idea di ordinamento della società
internazionale basato sui diritti umani e dei popoli. Chi oggi dice
che il PD non ha un’identità ideale non sa che cosa dice. O
meglio parla di se stesso e del proprio disorientamento e ignora le
grandi correnti ideali della storia. Il semplice fatto di aver posto
il partito sotto l’egida – finalmente – di una democrazia
senza aggettivi (e dunque non più la democrazia liberale o la
socialdemocrazia o la democrazia cristiana, ma la democrazia e
basta, perché – verrebbe da dire con il Marx della questione
ebraica – “la democrazia politica è cristiana”) rappresenta
la consapevolezza che l’idea di democrazia è il luogo
dell’inveramento delle aspirazioni dei liberali, dei
democristiani, dei socialisti. La democrazia non è una tappa
intermedia verso altro, ma è l’ideale verso cui essa stessa
tende. La politica sottratta all’essere strumento per la
realizzazione di altre mete e restituita alla sua natura originaria:
autogoverno di donne e uomini che si vogliono liberi e si
riconoscono uguali. In uno sforzo perenne, mai del tutto raggiunto
perché sempre nuovi esseri umani si aggiungono alla nostra
convivenza, ed abbiamo l’eterno compito di riconoscere anche ad
essi pari opportunità. Questa lettura più larga ci aiuta a
collocare le diverse tradizioni che sempre ricordiamo entro una
storia comune e a concepire il PD non come la costruzione
artificiale di gruppi diversi ed eterogenei, ma come la
ricongiunzione dei diversi rami della tradizione democratica al
ceppo originario e comune. Ciò non accade oggi per la prima volta,
ma già altre volte è accaduto sia pure non nella forma del partito
e solo a rileggere gli atti della Costituente respiriamo quest’aria
di unità democratica, di ritrovarsi in famiglia. Per cui è del
tutto corretto dire che il PD è il partito della Costituzione e di
quella Costituzione in cui le tradizioni democratiche italiane
arrivano alla formulazione di quella concezione “dinamica”
dell’uguaglianza che si trova originalmente formulata
nell’articolo 3. È questa concezione dell’uguaglianza che sta
alla base delle cultura politica del Partito Democratico e che anche
oggi costituisce lo spartiacque ideale tra i diversi schieramenti.
Se rileggiamo la storia delle idee politiche in Europa e nel mondo
alla luce di questo spartiacque, ci accorgiamo di come si possa
rinvenire – pur nella pluralità – un’unità più profonda
delle tradizionali distinzioni (liberaldemocratici, socialisti,
cattolici democratici, eccetera) che si fonda su questa concezione
inclusiva della democrazia, tesa perennemente a realizzare
condizioni di uguaglianza in un mondo che non smette di generare
disuguaglianze. Uguaglianza non solo sul piano orizzontale dei
diversi gruppi sociali, ma anche sul piano verticale
dell’uguaglianza tra governati e governati che nell’età della
democrazia di massa e della professionalizzazione del politico si fa
particolarmente acuta.
2. Dunque l’idea c’è, la storia c’è, vi è
da chiedersi piuttosto se vi siano fra noi oggi uomini e donne
all’altezza di questa storia. Storia di impegno, di sacrifici e di
lotte, come ogni democratico di ogni tempo sa, perché non vi è
diritto di donna o di uomo che non sia stato conquistato attraverso
lotte. La politica democratica – ossia la democratizzazione della
politica - non è un gioco di società. E vi è da chiedersi se il
deficit maggiore oggi non risieda nella mancanza di serietà, nella
mancanza di consapevolezza del senso della nostra battaglia, nel
deficit di carattere. Forse ci battiamo stancamente perché ci
battiamo per i diritti altrui, avendo da tempo conquistato i nostri
e badando semmai a conservarli gelosamente. Ma vi può essere
politica democratica se quanti avrebbero un reale interesse
all’espansione della democrazia – perché sfruttati o
discriminati - non stanno dalla parte dei democratici? Se non vedono
nei democratici chi si fa carico delle loro aspirazioni, chi dà
mostra di “sentire” ciò che essi sentono e di “soffrire”
ciò che essi soffrono? La forza dei movimenti democratici stava nel
coniugare gli ideali di libertà, uguaglianza, fraternità con
componenti sociali che avevano interesse concreto alla realizzazione
di una società fondata su queste basi. Questa ricomposizione tra
interessi e valori è essenziale e per questo è urgente una forte
alleanza con le componenti della società che hanno interesse a
un’espansione dell’uguaglianza delle opportunità e sono
disponibili a comporre questo loro interesse in un orizzonte ideale
di democratizzazione della società.
Politica e speranza
3. Ma la forza dei movimenti democratici non stava,
in passato, solo nella loro rappresentanza sociale progressiva,
stava anche nella loro capacità di suscitare la speranza in un
mondo diverso, attraverso rappresentazioni ideali della società del
futuro, che apparivano desiderabili, così desiderabili da rendere
sensata la lotta, e da rendere sopportabili le avversità del
presente. La politica moderna e in particolare la politica
democratica si è costruita in modo determinante sull’idea di un
futuro diverso dal presente. Fosse il regno di Dio o la società
dell’avvenire, fosse il mondo della libertà e degli scambi
pacifici, in ogni rappresentazione ideale stava la forza trascinante
di un futuro migliore per cui valeva la pena impegnarsi. Quest’idea
che il presente non è l’unico tempo dell’essere umano, ma un
altro tempo esiste per cui le donne e gli uomini non sono condannati
all’eterno ritorno dell’uguale miseria, ma sono destinati a un
riscatto e a una liberazione, è stato un contributo fondamentale
offerto dalle tradizioni ebraiche e cristiane alla politica
occidentale. La speranza della liberazione. E la povertà della
nostra cultura politica sta anche nell’inaridirsi di questo
orizzonte perché le tradizioni religiose oggi di fronte alla vita
politica appaiono più preoccupate di difendere i propri spazi
attraverso lo strumento del politico, anziché allargare lo spazio e
il tempo del politico attraverso il proprio orizzonte spirituale. E
invece è di questo allargamento dello sguardo e del cuore di cui la
politica democratica ha bisogno. Non certo per riproporre
messianismi terreni che non hanno giovato all’umanità. Ma per
dispiegare anche nella storia la forza liberante di una speranza in
un orizzonte che trascende il presente. E in ciò – anche – è
stata certamente la forza trascinante della proposta di Barack Obama
al suo popolo, proposta così fortemente nutrita della speranza di
una liberazione che ha radici salde nella tradizione democratica
americana, dai padri fondatori ai difensori dei diritti civili. La
speranza non è certo un patrimonio esclusivo delle tradizioni
religiose, essa può fondarsi e alimentarsi anche ad altre sorgenti.
Ma di essa, ovunque provenga, la democrazia ha bisogno per
sostenersi nel momento in cui la fiducia nel cambiamento viene messa
alla prova dalla crisi, dalla stanchezza e dalla rassegnazione. È
in quest’ora che il pensiero democratico ha bisogno di tutte le
energie spirituali di cui può disporre. Non deve costringere le
persone a mettere tra parentesi le proprie energie spirituali, ma
deve riuscire a esaltarle e a comporle in un quadro comune.
4. Ma non è solo per riaprire l’orizzonte del
futuro che il pensiero democratico ha bisogno di attingere a energie
spirituali. La crisi economica ha mostrato i limiti non solo di un
modello sregolato di capitalismo, ma anche di un’economia di
mercato che ha bruciato le risorse antropologiche da cui essa pure è
nata. La logica di funzionamento del sistema economico lasciata a se
stesso ha logorato quei presupposti di libertà della persona e di
parità di condizioni senza cui essa non avrebbe potuto svilupparsi
e per questo entra in tensione con le aspirazioni democratiche, che
non possono accettare un sistema che produce disuguaglianze sempre
più ampie. La reazione del sistema politico democratico alla crisi
economica è stata debole: come i meccanismi democratici sono stati
spesso impotenti di fronte alle sregolatezze del sistema, così nel
momento della crisi raramente sono riusciti ad evitare che le
risorse pubbliche messe in campo non finissero nelle mani degli
stessi agenti e delle stesse logiche che hanno prodotto la crisi. È
su questo piano che si misura la difficoltà, per non dire
l’impotenza delle democrazie: quello che dovrebbe essere il
sistema politico maggiormente in grado di difendere i meno abbienti,
rischia di cooperare al maggior trasferimento di risorse pubbliche
(provenienti in gran parte dal lavoro) nelle mani di chi già ha. È
questo compromesso tra (cattivi) attori economici e (cattivi) attori
politici, che va rotto a favore di un nuovo e più avanzato
compromesso tra democrazia ed economia di mercato. Per questo serve
non solo una politica che intercetti gli attori sociali ed economici
interessati al cambiamento (spesso inclinanti verso la rassegnata
astensione), ma anche una teoria sociale capace di dare spazio in
chiave dialettica ma non antagonista a quanti aspirano a una
«revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo» in una
logica di rispetto dell’ambiente e della giustizia sociale a
livello nazionale, internazionale e intergenerazionale. Si tratta
qui, di nuovo, di nutrire il pensiero democratico con antropologie
dialogiche e solidaristiche che nel radicale rispetto della libertà
della persona si oppongano però al rischio presente di reificazione
dell’”altro essere umano” presente nelle prospettive
individualistiche. Occorre perciò accettare la sfida del confronto
antropologico anche sui terreni cruciali dell’inizio e del fine
vita, così come del valore sociale delle relazioni familiari,
intessendo un confronto aperto e intenso con quanti si occupano
della “messa in salvo dell’umano”. Può darsi che questo
confronto porti in ogni caso a divergenze sul piano delle concrete
scelte da operare sul piano legislativo per operare nell’oggi quel
bilanciamento di beni che la nostra Costituzione ci chiede. Ma è
essenziale che in questo dialogo si renda a tutti percepibile il
valore di tutti i beni in gioco, perché le mediazioni giuridiche e
politiche – sempre contingenti – custodiscano la preoccupazione
che nulla dell’altro bene vada interamente perduto. Coltivando il
dialogo con le tradizioni morali e religiose sul piano
antropologico, il movimento democratico potrà opporre all’alleanza
strumentale tra trono e altare la proposta di un confronto e di una
cooperazione tra credenti e non credenti che riconosca da un lato la
secolarità del politico e la trascendenza del teologico e coltivi
dall’altro la cooperazione dialettica tra le diverse prospettive.
5. La situazione preoccupante della democrazia
italiana esige certamente che si faccia ogni sforzo per perseguire
politiche di alleanza con le altre forze progressiste, ma un
allargamento del fronte non basterà a rendere i democratici i
protagonisti del cambiamento se non sapranno anche allargare
l’orizzonte sociale e culturale della loro proposta. E se non
sapranno allargare il loro cuore, la loro capacità di “sentire”
ciò che gli altri soffrono. A loro spetta il dovere di testimoniare
che la democrazia è in grado di farsi carico più di altre forme di
governo dei grandi problemi sociali che attraversano il nostro tempo
e ciò va fatto in primo luogo esprimendo la propria vicinanza a
quanti vivono con maggiore difficoltà. In questa vicinanza, i
democratici, se attingeranno al proprio – straordinario e intatto
– patrimonio ideale, sapranno riaprire l’orizzonte della
speranza e, ritrovando il senso e le energie di un nuovo impegno,
potranno contribuire a costruire, assieme, nuove condizioni di vita,
più umane per tutti.
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