Mario Lavia
L'Unità 20 febbraio 2017
Torna la proporzionale. Occhetto:
“Rischio conflagrazione per il Pd”
“Un numero così alto di liste non si
vede neppure al Carnevale di Rio“, disse Bettino Craxi nel 1992.
Quando il sistema politico si sbrindellava sotto i colpi della
questione morale e del moltiplicarsi di liste e listarelle, effetto
esasperato del proporzionale, all’epoca senza sbarramento.
Proiezione elettorale di localismi, potentati, leaderismi, purismi
ideologici.
Ora, un quarto di secolo dopo, ci
risiamo.
Sui muri del centro di Roma sono
apparsi dei manifesti del Pli – Partito liberale italiano –
sconosciuto nipotino dell’antico e glorioso Pli di Giovanni
Malagodi. L’operazione degli ex giovani neri Alemanno e Storace –
il Movimento nazionale per la sovranità – occhieggia
nostalgicamente all’MSI, dove resta la dizione “Movimento” e la
“s” sta per “sovranista” (aggettivo tanto di moda) e non per
“sociale” come nel partito di Giorgio Almirante.
Persino i nuovi gruppi parlamentari
bersaniani pare si chiameranno Nuova sinistra: forse non se lo
ricorda nessuno, ma Nuova sinistra unita fu un cartello elettorale di
estrema sinistra presentatosi alle politiche del 1979 che voleva far
riunire tutti i partiti alla sinistra del Pci, una proiezione
elettorale (sfortunata) di Democrazia proletaria che non elesse
nemmeno un deputato.
Sì, c’è qualcosa di nuovo
nell’aria, anzi, di antico. Come se la crisi della Seconda
repubblica non schiudesse le porte alla Terza ma le spalancasse alla
Prima. Tornano bandiere rosse e pugni chiusi e non ci sarebbe da
meravigliarsi se rispuntassero edere, rose nel pugno, garofani, scudi
crociati e persino soli nascenti (la falce e martello è già di
Paolo Ferrero).
E’ il proporzionale che suscita
l’esplosione del sistema politico, tanto quanto, per converso, il
maggioritario aggrega.
Ecco perché proprio stamane Achille
Occhetto, fautore del maggioritario quando la sinistra era ancora
proporzionalista nel midollo, ha parlato di “conflagrazione” del
Pd: perché si aspetta, nell’Italia post-4 dicembre (perché lo
spartiacque è quello), un’esplosione di pezzi e pezzetti ciascuno
geloso della propria autonomia e soprattutto custode della propria
nicchia elettorale, locale, corporativa o addirittura personalistica.
Con tanti saluti al cammino ventennale che, appunto, va dalla
Bolognina dell’89 al Pd del 2007 passando per l’Ulivo.
Il punto è esattamente questo. E’
che una parte dei leader della sinistra italiana (il nome che viene
facile è quello di Massimo D’Alema) ha sempre considerato il Pds,
l’Ulivo e il Pd come meri strumenti tecnici e organizzativi per
superare questa o quella crisi e non come una acquisizione
politica e culturale sempre più avanzata. Ecco perché l’Ulivo non
resse, ecco perché l’amalgama non era riuscito, ecco perché il Pd
di Renzi va spaccato.
D’altra parte, guardiamo cosa già
sta succedendo a sinistra del Pd. In pochi giorni sono nati Sinistra
Italiana di Fratoianni, il gruppo di Arturo Scotto (scisso da
SI), il Campo progressista di Pisapia, il nuovo partito
bersanian-dalemiano, forse una “Cosa” meridionalista di De
Magistris e, chissà, Emiliano, poi c’è sempre Possibile di
Civati, e magari torneranno i Verdi, e chissà che succederà ai
radicali, divisi fra i boniniani (Cappato-Magi) e il partito
transnazionale di Maurizio Turco. E in questo quadro, si potrà
negare una autonoma presenza repubblicana o socialista? E Maurizio
Landini?
Ugualmente ci sarà un fiorire di liste
centriste, una galassia già esplosa con l’esaurirsi
dell’esperienza di Scelta civica di Mario Monti e con l’ennesima
spaccatura del centro cattolico fra Casini e Cesa, ultimo capitolo di
una saga infinita che dalla morte della Dc non ha mai conosciuto
fine. E che anzi è andata intrecciandosi con la crisi della
“vecchia” Forza Italia – dall’Ncd a Ala, è stato tutto un
fabbricare piccoli alambicchi politici e di potere, microgruppi sul
mercato parlamentare buoni a tutti gli usi. Qualcosa di più confuso
dell’antico trasformismo.
Il pulviscolo di partiti e sigle
elettorali pertanto destinato ad infittirsi. La soglia di sbarramento
del 3% non è insormontabile. E dunque, ci si può provare.
Di fronte a tutto questo, Matteo Renzi
ha puntato tutto sul referendum costituzionale e ha perso. Forse le
fiches doveva metterle più sul maggioritario che sul Senato o sul
Cnel. Ieri però ha citato, anche se en passant, la necessità di
“una legge elettorale di impianto maggioritario” e Walter
Veltroni ha ripreso la formukla del partito a vocazione maggioritaria
“che fa alleanza”, una concezione più dinamica della”suo” Pd
del 2008.
Non è detto, insomma, che moriremo
proporzionalisti. Altrimenti, benvenuti al Carnevale politico del
2017.
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