Walter Veltroni
L'Unità 26 febbraio 2017
Ci accorgiamo di quello che sta
accadendo intorno alle discussioni e divisioni della sinistra?
Molte persone mi hanno chiesto di
pubblicare il testo del mio discorso all’assemblea nazionale. Lo
faccio, sperando possa essere utile. Voglio solo fare una premessa:
ci accorgiamo di quello che sta accadendo intorno alle discussioni e
divisioni della sinistra?
Prendo gli ultimi tre giorni, solo
quelli. Dunque: il leader della Lega, una persona che potrebbe avere
in futuro importanti incarichi di governo, mette in rete un messaggio
in cui rilancia, sostenendolo, l’aberrante video girato da due tipi
che si beano per aver recluso in un contenitore di rifiuti due donne
nomadi.
Salvini aggiunge di suo, a quel filmato
agghiacciante, le seguenti parole: “ma quanto urla questa
disgraziata?”. Ciò che è più terribile è vedere che ci sono
stati decine di migliaia di “like” e leggere i commenti di
persone che inneggiano al gesto e anzi incitano a forme ancora più
efferate di discriminazione.
Negli Usa il novo presidente annuncia
una fase di implementazione della corsa agli armamenti nucleari,
invertendo la tendenza della presidenza Obama. Non è poco. Infine,
nel disinteresse dei più, Trump ha impedito l’accesso in un suo
incontro stampa a giornali che lui ritiene scomodi. Mi ha colpito che
gli altri colleghi abbiano accettato questa discriminazione
impensabile e non siano andati via.
Tre episodi, tra loro diversi, che
dovrebbero farci riflettere su questo tempo. Non ci accorgiamo che la
democrazia scricchiola? La democrazia non è fatta solo di regole e
di istituzioni, è fatta in primo luogo di uno spirito, di un bisogno
di libertà diffuso. Io, lo dico sinceramente, penso che mai come
oggi questa non sia più una certezza. Alla sinistra vorrei dire che
prima di frantumarsi in mille schegge l’una contro l’altra
armata, dovrebbe capire quello che sta accadendo nel profondo
dell’opinione pubblica, specie negli stati più deboli e
abbandonati dalla politica.
Da molto tempo non partecipo alle
riunioni degli organismi del nostro partito. Le mie scelte di vita,
operate con la necessaria radicalità, mi hanno spinto a decidere
così. Non è stato facile, come tutto il resto, ma era e sarà
giusto così. Però oggi credo sia mio dovere prendervi pochi minuti
per dire quanto mi sembri sbagliato e mi angosci quello che sta
accadendo. E vorrei rivolgermi alle compagne , i compagni , agli
amici con i quali abbiamo condotto tante battaglie, abbiamo
conosciuto vittorie e sconfitte, momenti di gioia e stagioni
difficili. A loro vorrei dire di non separare la loro strada da
quella di tutti noi.
E non rivolgo questo appello in nome
del tradizionale invito, pur legittimo, all’unità. No, lo dico
perché del loro punto di vista, del loro senso critico, delle loro
idee il partito democratico ha bisogno. Penso allo smarrimento e al
dolore che stanno provando le persone che, in questi dieci anni,
hanno creduto nell’idea e nella novità del partito democratico.
Il Pd non nasce dal nulla, c’è una
storia dietro il nostro cammino. Un cammino lungo che tutti, nessuno
escluso, dovremmo tenere sempre nella mente e nel cuore. La storia
non comincia con nessuno di noi, mai. Per la prima volta, dal
novecento, la grande maggioranza delle forze riformiste italiane,
eredi di coloro che combattendo uniti il regime avevano riconquistato
la libertà per tutti, si sono incontrate, nel Pd. Caduto il muro,
finite le ideologie, non c’era ragione per la quale i riformisti
non dovessero unirsi, non dovessero proporsi come governo possibile
di questo paese. Prima del 1989 queste forze erano state
legittimamente divise dalla storia. Ma, dopo, sono state divise solo
dalle proprie logiche di contrapposizione.
Vogliamo ricordarci per una volta che
nel 1994 se i progressisti e i popolari fossero stati uniti avrebbero
vinto le elezioni e Berlusconi non avrebbe governato l’ Italia?
Vogliamo dirci che se l’esperienza del primo governo Prodi, quello
dell’Ulivo, fosse proseguita, la storia italiana avrebbe avuto un
altro corso? Vogliamo dirci che dopo le elezioni del 2006 nella
coalizione successe di tutto: la maggioranza che in parlamento votava
contro il governo, le manifestazioni contro l’esecutivo con la
presenza di ministri dello stesso? Vogliamo dirci che se non vi fosse
stata la divisione nella sinistra Romano Prodi sarebbe stato eletto
nel 2013 Presidente della Repubblica?
La sinistra, quando si è divisa, ha
fatto male a se stessa e al paese. Questa è la verità. È stato
proprio questo il demone della sinistra. La malattia è di natura
politica e ridurla ai caratteri delle persone è una scorciatoia
facile, come lo è cercare, personalizzando ,i capri espiatori di una
sindrome profonda. Il Pd era nato per superare tutto questo. L’idea
del Lingotto non era solo costruire la sintesi tra cattolici
democratici e sinistra , era fare un partito tutto nuovo, per
identità, programma e forma. Un partito del nuovo millennio, davvero
riformista e davvero radicale. Non ossificato in correnti, male che
non smette di devastare il Pd, ma terreno di partecipazione autentica
, capace di innovazioni coraggiose e ben saldo sulle sue radici
profonde.
Un partito della sinistra, non un
indistinto. Quanto male ci hanno fatto le fole sui partiti della
nazione o le stupidaggini sul fatto che non esistono più destra e
sinistra! Ci stanno pensando Trump e la Le Pen a ricordarci la
meravigliosa differenza che esiste tra chi pensa ad una società
delle opportunità sociali e dell’inclusione umana e chi considera
poveri e immigrati come pericoli o relitti da rimuovere. Il Pd
è, ancora oggi, anche per merito di tutti i segretari che sono
venuti dopo di me, la forza che può , da sinistra, immaginare di
costruire una maggioranza nella società, prima che in parlamento.
C’è una cosa a cui tengo: combattete sempre l‘idea che la
sinistra sia obbligatoriamente minoranza in questo paese. Perché se
lo è ,allora sono minoranza le ragioni dei diritti, della giustizia
sociale, delle libertà di scelta. Sono minoranza i più poveri. Per
questo, fosse anche solo per questo, la sinistra non può permettersi
di essere minoranza per scelta, non ne ha il diritto. La sinistra
democratica deve coltivare l’obiettivo di conquistare consensi ampi
in virtù della forza, della radicalità e della coerenza della sua
proposta. E , consentitemi di dirlo con affetto, non sarà con la
parola d’ordine della rivoluzione socialista che questo accadrà.
Il Pd nacque per fusione, non per
scissione. Io ne ho vissute, di separazioni : quella di Rifondazione,
ad esempio, quando Occhetto, con un coraggio che mai gli è stato
pienamente riconosciuto, salvò e trasmise in avanti la storia
migliore del Pci. Non ero d’accordo con chi fece quella scelta di
rottura ma rispettavo il loro travaglio, la profondità di un
dissenso che nasceva dalle idee e solo da quelle.
Due sociologi francesi hanno descritto
questa fase storica come la stagione delle “passioni tristi”.
Temo abbiano ragione. Dentro questa dimensione io inscrivo la
possibilità che si rompa oggi il più grande partito della sinistra
europea per una questione che rischia di non restare scolpita nei
libri di storia. So bene che esistono contrasti più di fondo ma
all’opinione pubblica appare fin qui una questione interna , di
procedure e tempi. Le differenze ideali, programmatiche, politiche e
persino sulle questioni etiche sono legittime e , per me , vitali in
un partito che non può mai essere né un monocolore né un partito
personale ma una comunità aperta, fatte di differenze, unita da un
comune sentire, da un comune sperare. Da tempo sono allarmato per
l’abulìa della sinistra di fronte alla fase di più sconvolgente
cambiamento storico che la nostra generazione abbia conosciuto. Tutto
si sta rivoluzionando, il modo di lavorare, di distribuire la
ricchezza, di sapere, di comunicare, di essere in relazione tra le
persone. La precarietà è diventata il segno devastante di esistenze
appese. Le tecnologie riducono lavori e la formazione, ancora non
diventata cuore sociale e culturale della sinistra, non prepara al
nuovo, non educa a un mondo che la politica stessa sembra non capire,
non interpretare. Siamo immersi nella più lunga recessione degli
ultimi due secoli, l’Occidente è segnato da grandi ondate
migratorie, i mutamenti demografici stanno sconvolgendo il welfare.
C’è o no materia per una riflessione collettiva di una sinistra
che in tutto l’Occidente oggi è ai margini? La destra lo ha fatto,
con consenso, e se ne vedono i segni. Ci accorgiamo che oggi vengono
pronunciate parole di odio e discriminazione che ieri erano
impronunciabili? E la sinistra ha il dovere di opporsi, anche in
termini valoriali, a tutto questo. E ora la cosa che mi sta più a
cuore, da tempo: la democrazia oggi fa fatica, sembra incapace di
guidare un mondo troppo veloce per le sue regole, sembra stretta
nell’alternativa tra un inquietante bisogno di semplificazione,
persino autoritaria, e il mito della democrazia diretta.
La democrazia non è manna dal cielo, è
stata, un’ eccezione , nella storia umana. Vive se è trasparente,
se decide, se funzionano i controlli. Ma vive anche se è capace di
immaginare nuove forme di partecipazione e di sussidiarietà dal
basso, che coinvolgano e responsabilizzino i cittadini sottraendoli
così alla subalterna ed esclusiva pratica dell’invettiva . La
democrazia vive se i governi sono stabili. Guardate che davvero può
essere devastante la prospettiva di nuove elezioni nelle quali non ci
siano maggioranza e governo possibili. Dico la mia opinione, per
quello che vale: sbaglierebbe chi pensasse che il modo migliore di
contrapporsi ai Cinque Stelle sia la costruzione , di nuovo, di una
grande alleanza “contro”.
Non sarà il consociativismo a
sconfiggere l’antipolitica , sarà il riformismo vero. E fatemi
aggiungere che se ora la prospettiva è un sistema proporzionale, con
tanti partitini capaci di condizionare il governo e decretarne
l’instabilità, con le preferenze ,che considero lo strumento più
perverso del rapporto tra eletti ed elettori, rapporto che solo il
collegio uninominale rende trasparente e virtuoso; se la prospettiva
è il ritorno ad un partito che sembra la margherita e un altro che
sembra i ds e a coalizioni eterogenee tenute insieme da logiche di
potere; allora non chiamatelo futuro, chiamatelo passato. Un Pd più
debole, un centro sinistra dilaniato da polemiche, aiutano ad
affrontare queste sfide? Aiutano ad evitare che prevalgano ovunque
forze la cui intenzione è la distruzione della più grande conquista
del dopoguerra, l’Europa unita? La domanda è questa, solo questa.
Un partito vale per gli altri, non per se stesso.
Dobbiamo abituarci a convivere, a
essere, di volta in volta, maggioranza e minoranza, in un partito. Ma
stando insieme, sempre rispettandoci e valorizzandoci. Vi devo
dire la verità. Guardandolo da più lontano oggi il Pd sembra più
impegnato in interminabili discussioni per decidere ciò che conviene
ai singoli piuttosto che per decidere ciò che è più giusto per gli
altri. Ciò che dovremmo fare. Vorrei dirla in questo modo : meno
riunioni di corrente, più rappresentanza di bisogni s o ciali. Noi
siamo figli di gente che ci ha educato così. Non pensavano a se
stessi o a cosa conveniva loro i ragazzi che uscirono finalmente
liberi da Via Tasso dopo la liberazione.
Non pensavano a se stesse le donne che,
affermando i loro diritti, hanno scosso l’Italia facendola
diventare moderna. Né lo facevano i cattolici che affermavano la
pace quando la guerra sembrava ovvia. Non pensavano a se stessi, gli
operai che scioperavano contro il terrorismo. Noi siamo figli di
questa storia e di molto altro. Ho finito, mi scuso, ma sentivo il
dovere di essere con voi, oggi. Perché spero che quella bandiera,
quel simbolo, quell’ idea di unità comunque non vengano ripiegati
e messi in soffitta. Io penso che del Pd, di una comunità di
sinistra aperta, popolare, riformista e moderna, l’Italia e
l’Europa abbiano un grande, disperato bisogno. State uniti, ne va
del destino della sinistra e dell’Italia.