Maryan Ismail
“Comprendo tutto di Silvia.
Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere,
per non morire”. Lettera a Silvia Romano di Maryan Ismail, nata in
Somalia, in Italia da 35 anni, docente di antropologia
dell’immigrazione, tratta dal suo profilo Facebook
Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post.
Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono
ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice
positiva. L’aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto
è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al
Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa.
Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi
spietato e soprattutto la parte del cosiddetto volto “perbene”.
Gente capace di trattare, investire, fare lobbyng, presentarsi e
vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel
mondo.
Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e
con mandanti ancor più pericolosi.
Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare NON
ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado
in una situazione terribile, è tornata a casa.
Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel
mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro.
Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura,
l’impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a
trovare?
Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide,
curde, afgane, somale, irachene, libiche, yemenite per capire il
dolore in cui si sprofonda.
Comprendo tutto di Silvia.
Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di
resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a
qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere.
E in un nano secondo.
Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di
Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club
Mediterranee… Nossignore è un incubo infernale, che lascia
disturbi post traumatici non indifferenti.
Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito (che per
cortesia non ha nulla di SOMALO, bensì è una divisa islamista che
ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua
conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di
varia natura.
La sua non è una scelta di LIBERTA’, non può esserlo stata in
quella situazione.
Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una
sua sacralità intangibile.
E poi quale Islam ha conosciuto Silvia?
Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la
testa? Quello dell’attentato di Mogadiscio che ha provocato 600
morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che
obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha
provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché
cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un’intera
generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche
o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell’orrore? Quello che ha
decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e
giornalisti?
No non è Islam questa cosa.
E’ NAZI FASCISMO, adorazione del MALE.
E’ puro abominio.
E’ bestemmia verso Allah e tutte le vittime.
I simboli, sopratutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande
valore. E quella tenda verde NON ci rappresenta.
Quando e se sarà possibile, se la giovane Silvia vorrà, mi
piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra
preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti,
cibo, fogge, monili e abiti.
Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash,
garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego, macawis, kooffi.
I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che
deriva dall’italiano).
Ho l’armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia
mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle
portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia.
Adoriamo i colori della terra e del cielo.
Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci , di poesie, di
ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i
nonni.
Abbiamo anche parti terribili come l’infibulazione (che non è
mai religiosa, ma tradizionale), ma le racconterei come siamo state
capaci di fermare un rito disumano.
Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie,
senza aiuti, fondi e campagne di sostegno.
Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della
devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici,
mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in
somalo..
Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato.
Della fierezza e gentilezza del popolo somalo.
E infine ho trovato immorale e
devastante l’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto
all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro.
In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in
tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre
sigle del terrore.
Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura
sono a tua disposizione..
Soo dhowaw, gadadheyda macaan.
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