giovedì 18 luglio 2019

COMPASSIONE

Ermes Maria Ronchi
14 luglio 2019
Una parabola che non mi stanco mai di ascoltare; un racconto che continuo ad amare perché generativo di umano, perché contiene il volto di Dio e la soluzione possibile dell'intero dramma dell'uomo.
Un sacerdote scendeva per quella medesima strada. E il primo che passa, un prete, lo aggira, lo scansa, passa oltre. Ma dov'è questo oltre? Cosa c'è oltre? Oltre l'uomo c'è il nulla, l'assurdo, l'inutile! Nessuno può dirsi estraneo alle sorti dell'uomo, nessuno può dire: io non c'entro. Siamo tutti sulla medesima strada, nella medesima storia; ci salveremo o ci perderemo tutti insieme.
Il verbo centrale della parabola, quello da cui sgorga ogni gesto successivo del samaritano, è espresso con le parole "ne ebbe compassione". Che letteralmente nel vangelo di Luca indica l'essere preso alle viscere, come un morso, un crampo allo stomaco, uno spasmo, una ribellione, qualcosa che si muove dentro, e che è poi la sorgente da cui scaturisce la misericordia fattiva.
Il Samaritano scende da cavallo, si china, e forse ha paura, forse teme i briganti ancora vicini o una trappola. Ma la prossimità mette al centro il dolore dell'altro, non il mio sentire. E' un e­retico, un nemico che, mosso a pietà, gli si fa vicino. Sono ter­mini di una carica infinita, bellissima, che grondano di luce, grondano di umanità. Non c'è umanità possibile senza la compassione, il me­no sentimentale dei senti­menti, il meno zuccheroso, il più concreto: prendere su di me il destino dell'altro.
Non è spontaneo fermarsi. La compassione non è un istin­to, ma una conquista. Come il perdono: non è un senti­mento, ma una decisione. Il racconto di Luca adesso met­te in fila dieci verbi per de­scrivere l'amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò... fi­no al decimo verbo: al mio ri­torno salderò... Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comandamenti, per tutti, perché l'uomo sia promosso a uomo, perché la terra sia abitata da 'prossi­mi', non da avversari.
Un uomo scendeva da Geru­salemme a Gerico, un uomo fortunato. Perché l'esperien­za di essere stato amato gra­tuitamente, anche una sola volta nella vita, riempie di senso per lungo tempo la vi­ta, risana in profondità chi ha subito violenza e si è sentito calpestato nell'anima.
Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo pros­simo è chi ha avuto compassione di te. Allora ricor­dati di amare i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, rialzato, hanno versato olio e vino sulle tue ferite, e riversato affetto in cuore. Non dimenticare chi ti ha soccorso e ha pagato per te. Impara l'amore dall'amore rice­vuto. Li devi amare, con gioia, con festa, con gratitudine. E poi da loro imparare. Va e anche tu fa lo stesso. An­che tu diventa samaritano, fatti prossimo, mostra misericordia. Il vero contrario dell'amore non è l'o­dio, è l'indifferenza.
(Luca 10, 25-37)

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