14 luglio 2019
Una parabola che non mi stanco mai di ascoltare; un racconto che
continuo ad amare perché generativo di umano, perché contiene il volto
di Dio e la soluzione possibile dell'intero dramma dell'uomo.
Un sacerdote scendeva per quella medesima strada. E il primo che passa,
un prete, lo aggira, lo scansa, passa oltre. Ma dov'è questo oltre?
Cosa c'è oltre? Oltre l'uomo c'è il nulla, l'assurdo, l'inutile! Nessuno
può dirsi estraneo alle sorti dell'uomo, nessuno può dire: io non
c'entro. Siamo tutti sulla medesima strada, nella medesima storia; ci
salveremo o ci perderemo tutti insieme.
Il verbo centrale della parabola, quello da cui sgorga ogni gesto successivo del samaritano, è espresso con le parole "ne ebbe compassione". Che letteralmente nel vangelo di Luca indica l'essere preso alle viscere, come un morso, un crampo allo stomaco, uno spasmo, una ribellione, qualcosa che si muove dentro, e che è poi la sorgente da cui scaturisce la misericordia fattiva.
Il Samaritano scende da cavallo, si china, e forse ha paura, forse teme i briganti ancora vicini o una trappola. Ma la prossimità mette al centro il dolore dell'altro, non il mio sentire. E' un eretico, un nemico che, mosso a pietà, gli si fa vicino. Sono termini di una carica infinita, bellissima, che grondano di luce, grondano di umanità. Non c'è umanità possibile senza la compassione, il meno sentimentale dei sentimenti, il meno zuccheroso, il più concreto: prendere su di me il destino dell'altro.
Non è spontaneo fermarsi. La compassione non è un istinto, ma una conquista. Come il perdono: non è un sentimento, ma una decisione. Il racconto di Luca adesso mette in fila dieci verbi per descrivere l'amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò... fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò... Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comandamenti, per tutti, perché l'uomo sia promosso a uomo, perché la terra sia abitata da 'prossimi', non da avversari.
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, un uomo fortunato. Perché l'esperienza di essere stato amato gratuitamente, anche una sola volta nella vita, riempie di senso per lungo tempo la vita, risana in profondità chi ha subito violenza e si è sentito calpestato nell'anima.
Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo prossimo è chi ha avuto compassione di te. Allora ricordati di amare i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, rialzato, hanno versato olio e vino sulle tue ferite, e riversato affetto in cuore. Non dimenticare chi ti ha soccorso e ha pagato per te. Impara l'amore dall'amore ricevuto. Li devi amare, con gioia, con festa, con gratitudine. E poi da loro imparare. Va e anche tu fa lo stesso. Anche tu diventa samaritano, fatti prossimo, mostra misericordia. Il vero contrario dell'amore non è l'odio, è l'indifferenza.
(Luca 10, 25-37)
Il verbo centrale della parabola, quello da cui sgorga ogni gesto successivo del samaritano, è espresso con le parole "ne ebbe compassione". Che letteralmente nel vangelo di Luca indica l'essere preso alle viscere, come un morso, un crampo allo stomaco, uno spasmo, una ribellione, qualcosa che si muove dentro, e che è poi la sorgente da cui scaturisce la misericordia fattiva.
Il Samaritano scende da cavallo, si china, e forse ha paura, forse teme i briganti ancora vicini o una trappola. Ma la prossimità mette al centro il dolore dell'altro, non il mio sentire. E' un eretico, un nemico che, mosso a pietà, gli si fa vicino. Sono termini di una carica infinita, bellissima, che grondano di luce, grondano di umanità. Non c'è umanità possibile senza la compassione, il meno sentimentale dei sentimenti, il meno zuccheroso, il più concreto: prendere su di me il destino dell'altro.
Non è spontaneo fermarsi. La compassione non è un istinto, ma una conquista. Come il perdono: non è un sentimento, ma una decisione. Il racconto di Luca adesso mette in fila dieci verbi per descrivere l'amore: lo vide, si mosse a pietà, si avvicinò, scese, versò, fasciò, caricò, lo portò, si prese cura, pagò... fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò... Questo è il nuovo decalogo, i nuovi dieci comandamenti, per tutti, perché l'uomo sia promosso a uomo, perché la terra sia abitata da 'prossimi', non da avversari.
Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, un uomo fortunato. Perché l'esperienza di essere stato amato gratuitamente, anche una sola volta nella vita, riempie di senso per lungo tempo la vita, risana in profondità chi ha subito violenza e si è sentito calpestato nell'anima.
Ma chi è il mio prossimo? Gesù risponde: tuo prossimo è chi ha avuto compassione di te. Allora ricordati di amare i tuoi samaritani, quelli che ti hanno salvato, rialzato, hanno versato olio e vino sulle tue ferite, e riversato affetto in cuore. Non dimenticare chi ti ha soccorso e ha pagato per te. Impara l'amore dall'amore ricevuto. Li devi amare, con gioia, con festa, con gratitudine. E poi da loro imparare. Va e anche tu fa lo stesso. Anche tu diventa samaritano, fatti prossimo, mostra misericordia. Il vero contrario dell'amore non è l'odio, è l'indifferenza.
(Luca 10, 25-37)