Guido Formigoni
4 aprile 2019
L’Unione europea sta vivendo mesi cruciali su diversi fronti:
dalla Brexit alle elezioni del parlamento di maggio. Si ha quasi
l’impressione di stare su un crinale decisivo tra rilancio del
futuro di questa iniziativa e avvio di un circolo vizioso di crisi e
divisione. L’Europa è in questione. Perché ogni cittadina e
cittadino compia le sue scelte con consapevolezza, è bene avere in
mente l’orizzonte essenziali di problemi che ci sta davanti.
Proviamo a riassumerli – senza aver spazio per approfondirli – in
alcuni punti essenziali.
Primo. L’Europa non è un dato di fatto: non è difficile
constatare come non abbia evidenti basi comuni di lingua, storia,
cultura, identità. I popoli europei stanno insieme solo se si
accordano su un progetto condiviso per il futuro. Non si deve mai
dare per scontato questo elemento, non si deve dare per ovvia
l’identità europea, pena la sua sconfitta. Chi ci crede ha il
compito di continuamente rimotivarla e rilanciarla all’altezza
delle sfide dell’epoca. L’idea per cui il percorso «comunitario»
iniziato settant’anni fa tra sei paesi sia ormai irreversibile e
non possa che avanzare, spesso coltivata dagli europeisti, è
profondamente illusoria e sbagliata.
Secondo. L’Europa è davvero una necessità per il nostro
futuro. Ma occorre spiegarlo non con un vago appello alla cultura
delle origini o alle scelte dei nostri nonni. Sempre l’Europa è
stata un orizzonte di valore, che però ha funzionato quando
costituiva una risposta elaborata a un problema politico reale.
Originariamente, il problema della ripresa della Germania dopo
trent’anni di guerre. Possiamo dire che oggi ci sia un problema
analogo? A me pare del tutto evidente: dopo la crisi del 2008 e la
«grande stagnazione» successiva, noi conosciamo un mondo in cui i
giganti come Stati Uniti e Cina hanno rilanciato una statualità per
governare la globalizzazione (bene o male che lo stiano facendo). Un
appello forte in questa direzione oggi è più che mai opportuno:
l’Europa non può mancare al tavolo. Occorre ribadire che non c’è
futuro per piccoli-medi Stati europei se si isolano stizzosamente tra
di loro nel mondo dei giganti. Per cui la necessità dovrebbe muovere
l’ingegno.
Terzo. Le acquisizioni della storia hanno ormai distinto l’Europa
da altre parti del mondo, costituendo un patrimonio progettuale non
trascurabile, se valorizzato. Si pensi al discorso sul metodo di
rapporto tra gli Stati (metodo inclusivo e cooperazione invece che
egemonie e imposizioni; capacità di governo dell’economia senza
dirigismi ma senza subalternità ai mercati). Si pensi all’originale
modello sociale (una società che mira a integrare i perdenti
lottando contro le diseguaglianze eccessive; rapporti di mediazione
articolata tra i gruppi e i mondi sociali, invece che individualismo
anglosassone o “collettivismo” asiatico; mediazione continua tra
esigenze della crescita economica e esigenze della coesione sociale).
E forse, ancora più a fondo, c’è una concezione della persona
umana al di sopra della sicurezza o della stessa coesione
(integrazione delle diversità e anche delle religioni nel primato
della coscienza, ma anche nel dialogo reciproco; rifiuto della pena
di morte). Sono tutti tratti «europei» forti, non banali, che a
volte sottovalutiamo, ma che vanno sempre aggiornati.
Quarto. Qualcuno oggi dice che il vero scontro è tra europeisti e
«sovranisti» o «populisti». Mi pare uno schema riduttivo.
Infatti, è ambiguo dire che stanno con l’Europa solo coloro che
sostengono la linea politica e istituzionale dell’Unione negli
ultimi anni, a partire dalla risposta alla crisi secondo le regole
dell’austerità. L’Europa degli ultimi decenni ha seguito linee
quanto meno controverse (lo ha ammesso a denti stretti, recentemente,
lo stesso presidente della commissione Juncker). Non è un caso che
l’Unione europea “così com’è” si sia attirata molte
contrapposizioni. Quindi potrebbe e dovrebbe essere un messaggio
forte quello che dica: l’Europa è necessaria, ma apriamo un
dibattito franco su «quale Europa» oggi vogliamo. I veri europeisti
non si sottraggono a questa sfida.
Quinto. L’Europa interessa molto anche i credenti. La Chiesa
cattolica può giustamente fare appello a tradizioni europeiste
forti, da quando Pio XII ha proclamato san Benedetto patrono
dell’Europa. Sulle «radici cristiane dell’Europa» si è
discusso fin troppo: negarle è stato un patetico rifiuto della
storia; affermarle come rivendicazione di un primato non ha aiutato
una riflessione aperta. Anche in questo campo, però, non tutto è
ovvio. I vescovi europei fanno ultimamente sempre più fatica a
utilizzare questo retaggio per prendere posizioni comuni su temi
delicati come le migrazioni (segnatamente, i vescovi dei paesi
dell’Est spesso non si distaccano dai loro nazionalismi). C’è
quindi un processo di purificazione e di auto-verifica della
coscienza cristiana da sviluppare prima di poter lasciare un
messaggio positivo. Sarebbe utile aprire un confronto libero e
spregiudicato anche su come il cristianesimo parli oggi all’Europa.
Nessun commento:
Posta un commento