Guido Formigoni
7 novembre 2017
dal blog C3dem
Avendo ora anche una nuova legge
elettorale, approvata tra le forzature e le polemiche, ci avviciniamo
ulteriormente a una lunga campagna elettorale per le prossime
elezioni di primavera. Difficile ancora dire come si configurerà
precisamente il confronto nel paese, ma alcuni elementi appaiono più
chiari.
Sulla nuova legge elettorale non
conviene spendere troppe parole. Personalmente, ho sempre pensato che
si attribuisse troppo peso alle tecnicalità di tali leggi, fino agli
ambienti che immaginavano di poter cambiare la politica, forzandola
in schemi che si sono sempre rivelati troppo rigidi. La politica –
come hanno mostrato le elezioni del 2013 – è sempre eccedente ogni
schema e in effetti una legge elettorale che era stata concepita per
favorire il bipolarismo ha visto esplodere una terza forza come i
grillini. Di fatto, comunque, l’attuale legge è concepita come un
misto di prevalente quota proporzionale su liste di partito (per due
terzi) e di maggioritario uninominale (un terzo dei parlamentari). Lo
sbarramento è al 10% per le coalizioni e al 3% per i partiti (anche
se i voti di partiti coalizzati che non raggiungono il 3% ma superano
l’1% andranno recuperati dai partiti maggiori, il che favorirà
anche un proliferare di liste e listine). Le ipotetiche coalizioni
sono per certi versi rese più rigide dall’impossibilità di votare
disgiuntamente sulle due quote. Oltre ai singoli candidati
dell’uninominale, dovrebbero essere “visibili” anche i
candidati dei listini di partito collegati (corti perché al massimo
di 6 nomi, ma “bloccati”, confermando che i vertici dei partiti
tutto pensano, meno di perdere il potere di selezionare i candidati).
La legge ha evitato comunque i peggiori elementi di
incostituzionalità trovati dalla Corte nelle ultime versioni della
incredibile italiana vicenda (“porcellum” e “italicum”), e
ora che Mattarella l’ha promulgata è probabilmente al riparo da
sorprese.
Come si orienterà quindi lo scontro
elettorale, sulla base di queste premesse? Il tripolarismo
tendenziale degli ultimi anni non sarà certo smentito rapidamente.
Gli attuali sondaggi danno il Pd e il M5S più o meno alla pari poco
sopra il 25%, e l’asse (tutto da verificare) Lega-Fi non molto
lontano (anzi superiore a queste cifre, se si aggiunge il partito di
destra della Meloni). Tutti gli esperti sembrano convenire sul fatto
che, sulla base delle prime proiezioni, sarà pressoché impossibile
che si formi una maggioranza solida in parlamento sulla base di
coalizioni o accordi pre-elettorali (quindi valutabili dai cittadini
in modo esplicito). Del resto, abbiamo ormai imparato che le
“boutade” su una legge che permetta di avere un governo sicuro
alla sera delle elezioni sono irricevibili, a meno di passare
esplicitamente a un modello di governo presidenziale, ipotesi che
molti hanno vellicato negli ultimi decenni, ma pochi sono disposti a
sostenere esplicitamente e direttamente (considerandone i
sottoprodotti negativi). Quindi il problema sarà triplice: vedere se
e come si formeranno gli accordi di coalizione, valutare i risultati
(che i sondaggi difficilmente prevedono correttamente, in tempi di
grande volatilità e nel dubbio sulla dimensione dell’astensionismo)
e alla fine capire come le singole forze torneranno a giostrare in
parlamento.
I più penalizzati sembrerebbero i 5
stelle, che in effetti sono stati i maggiori oppositori della legge,
a causa della loro ribadita volontà di evitare accordi
pre-elettorali. Grillo ha però la possibilità di competere anche
senza coalizioni in molti collegi uninominali, soprattutto del
centro-sud. Difficile immaginare però che da solo il movimento si
avvicini alla soglia di poter avere un primato nel numero dei
parlamentari. Al di là del fatto che le altre forze politiche e
soprattutto quelle della maggioranza di governo sono ancora in tempo
a suicidarsi con qualche mossa che dia fiato alla protesta grillina
(cosa su cui non metterei la mano sul fuoco, data la pervicace
sottovalutazione del problema del malessere del paese, da parte di
chi sta nei palazzi e gioca ogni giorno con il politichese).
Chi potrebbe avvantaggiarsi di più è
proprio la destra, nonostante le condizioni tutt’altro che floride
delle sue diverse componenti. Infatti, Forza Italia è ai minimi
storici, con un Berlusconi ai (o anche oltre i) propri limiti
anagrafici, che solo le pecche degli avversari gli permettono di non
considerare (oltre che per ora incandidabile e segnato dal fallimento
storico del 2011). La Lega invece è in crescita, ma l’operazione
Salvini di sfondare fuori dal Nord su temi da semplice destra
sovranista-populista è tutt’altro che consolidata, anche perché
ha la vicinanza/competizione dei Fratelli d’Italia della Meloni,
che a spararle grosse non esita certamente. Il punto di vantaggio di
queste reciproche debolezze è la disinvoltura con cui queste forze
stanno mostrando di superare le loro divergenze vere o presunte
(nazione-localismo; Europa-antieuropa; responsabilità-populismo):
l’elettorato di destra è anche presumibilmente piuttosto
disponibile a seguirli su un’ipotesi di coalizione, nonostante
tutti i loro equilibrismi. Se questo incontro non così ovvio si
realizzerà, vorrebbe soprattutto dire che il risultato in gran parte
dei collegi del Nord sarebbe già orientato e che quindi la partita
vera si giocherebbe sui rapporti di forza nella divisione previa di
questi collegi (soprattutto tra Salvini e Berlusconi). Ciò
particolarmente in vista del fatto che le coalizioni non sono poi
affatto condannate a giocare il medesimo ruolo in parlamento dopo le
elezioni, complice proprio la probabilissima mancanza di una vittoria
chiara.
In questo senso, non si capisce molto
la linea recente di Renzi, tutta tesa ad ammiccare a un populismo
soft o anche meno soft (Banca d’Italia, vitalizi, migrazioni),
nell’illusione di togliere spazio al M5S e senza mostrare di
prendere sul serio il pericolo di destra. A meno che non ci sia già
– come ha ipotizzato qualcuno e come però si stenta ancora a
credere possibile – una sostanziale rassegnazione a dover fare un
futuro governo con una parte della destra vincente. Comunque,
la situazione che a noi interessa di più, quella del
centro-sinistra, non è semplicissima. La scelta di una legge
elettorale di questo tipo, oltre ad alcuni altri segnali piuttosto
ambigui degli ultimi tempi, sembrerebbe far pensare alla raggiunta
consapevolezza che il Pd da solo non vada da nessuna parte, in un
turno elettorale così complicato. Ma naturalmente non basta dirlo
per costruire una coalizione sostenibile e presentabile: soprattutto
dopo mesi e anni di segnali forzatamente contrastanti. Che hanno
prodotto una scissione e un allontanamento progressivo delle
posizioni tra i vari soggetti che stanno nell’area di
centro-sinistra. Ricucire in pochi mesi non sarà facile. Ma
d’altronde una coalizione serve proprio per tenere assieme su
alcune scelte comuni una pluralità di soggetti che siano anche
competitivi tra loro, per attrarre elettorato che altrimenti sarebbe
ricacciato nell’astensionismo. Quindi occorre provare a mettere in
piedi esattamente qualcosa di questo tipo. Non un Pd attorniato da
qualche cespuglio: questo sarebbe un prodotto immangiabile.
Occorrerebbe invece un centro-sinistra
largo e plurale, di matrice ulivista, l’unica che abbia permesso in
questi anni di battere la destra. Non è detto che tutta la sinistra
debba essere coinvolta (qualche soggetto del tutto alieno da una
cultura di governo esiste, ma non è certo maggioritario a sinistra
del Pd). Come non è detto che non si debba aggiungere anche una
componente di centro, purché presentabile. Naturalmente compresa la
necessità di rimettere in gioco i rispettivi ruoli e le rispettive
cariche attese. Su questo si misurerà la qualità della leadership
di tutti i soggetti in campo (e di quelli ancora… virtuali).
Ma il punto vero mi sembra ancora un
altro. E cioè se al di là del politichese, degli equilibri e dei
giochi di professionismo politico, si raggiungerà un coraggioso
accordo che mostri di ridiscutere a fondo le politiche di questi
anni, e non intendo solo del governo Renzi, ma di tutto il ciclo del
centro-sinistra post-’94. Senza iniziare il trito discorso per cui
“nessuno deve mettere veti”, ma anche senza demonizzazioni
sospette di tutto passato (del tipo: “avete fatto solo cose di
destra”). Occorrerà finalmente dire che si intende correggere in
modo significativo il ciclo storico politico-economico della
globalizzazione, che ha avuto anche i suoi meriti, ma nei nostri
paesi si è tradotto in una de-valorizzazione sostanziale del lavoro
a beneficio del capitale, soprattutto finanziario. Partendo
dall’individuazione di due o tre messaggi forti che raggiungano la
testa e anche il cuore del paese, nitidamente alternativi al discorso
della destra fatto solo di egoismi individualistici, additando i
capri espiatori del malessere diffuso. E anche a quello grillino che
si qualifica solo sulla negazione della casta (come se il paese nel
complesso fosse migliore…). Un minimo di progetto, basterebbe un
minimo. Costruito attorno alle cruciali questioni dell’identità e
dell’incontro con l’altro, dell’Europa e del ruolo europeo nel
mondo, del lavoro da rivalorizzare e di quello da creare ex novo con
soldi di tutti, della cultura e dei beni immateriali come perno di
qualsiasi rinascita italiana. Su questo aspetto anche i cattolici
democratici, sulla scia dell’esigente messaggio di papa Francesco,
avrebbero molte cose importanti da dire, naturalmente assumendosi la
responsabilità della loro trascrizione nella responsabilità
politica. Chissà se l’impresa sarà possibile?