Il 2 gennaio il segretario del Pd Matteo Renzi ha scritto una lettera alle forze politiche di maggioranza e opposizione per proporre delle riforme istituzionali.
Nel testo, pubblicato sul suo sito ufficiale, Renzi ha lanciato tre
proposte di ispirazione maggioritaria per una nuova legge elettorale:
Modello spagnolo. Divisione
del territorio italiano in 118 piccole circoscrizioni con un premio di
maggioranza del 15 per cento (92 seggi) alla lista vincente. Ogni
circoscrizione elegge un minimo di quattro e un massimo di cinque
deputati. Soglia di sbarramento al 5 per cento.
Modello della legge Mattarella
(nota anche con il nome di “Mattarellum”). 475 collegi uninominali e
assegnazione del 25 per cento dei collegi restanti attraverso un premio
di maggioranza del 15 per cento e un diritto di tribuna (l’elezione
d’ufficio per i partiti che non superano lo sbarramento) pari al 10 per
cento del totale dei collegi.
Modello del doppio turno di coalizione dei sindaci.
Chi vince prende il 60 per cento dei seggi e i restanti sono divisi
proporzionalmente tra i perdenti. Possibile un sistema con liste corte
bloccate, con preferenze, o con collegi. Soglia di sbarramento al 5 per
cento.
Nella lettera Matteo Renzi ha ribadito anche due proposte di riforma istituzionale che aveva già anticipato nei mesi scorsi:
La riforma del bicameralismo, con la trasformazione del senato in
camera delle autonomie locali e la cancellazione di ogni indennità per i
senatori, che non vengono più eletti.
La riforma del titolo V della costituzione per
restituire allo stato alcune competenze oggi in mano alle regioni e
ridurre il numero dei consiglieri regionali e le loro indennità (al
livello di quello che guadagna il sindaco della città capoluogo).
I diritti civili.
In un post scriptum, Renzi ha anche sottolineato di volere un registro
delle unioni civili e una riforma della legge Bossi Fini
sull’immigrazione. “All’interno del patto di coalizione che si dovrebbe
siglare a gennaio, tra le forze che sostengono la maggioranza, sarà cura
del Pd chiedere dunque che ci sia un capitolo Diritti Civili che
comprenda non solo le modifiche alla Bossi Fini o le unioni civili per
persone dello stesso sesso o la legge sulla cooperazione internazionale o
i provvedimenti per le famiglie, ma anche una disciplina più moderna ed
efficace delle adozioni”, ha scritto Renzi.
Abolire il senato, come chiede Renzi? Le reazioni dei Cinquestelle
parlano da sole: c'è chi vuole abolire la camera, chi vorrebbe mantenere
il bicameralismo, chi aspetta il responso della Rete
Per ora, per ragioni di tempo, il lavoro di Matteo Renzi è
riuscito a metà. Il primo scopo del nuovo segretario del Partito
democratico era di tornare a dettare l’agenda del dibattito pubblico.
Grazie alla scelta di giocare a tutto campo, parlando con tutti, e in
contropiede rispetto ai tempi della politica (come si è visto ieri, 2
gennaio) Renzi sta centrando il primo obiettivo. Su legge elettorale,
riforma del senato, sforamento del patto di stabilità europeo ieri tutto
il mondo politico è dovuto intervenire sulle idee lanciate dal
segretario del Pd. A breve, potrebbe succedere anche sulla riforma del
mercato del lavoro.
La mossa renziana è servita anche a svelare il bluff del Movimento 5 stelle. In un’intervista al Fatto quotidiano
il leader dem ha sfidato i parlamentari dell’M5S a votare l’abolizione
del senato così com’è e la sua trasformazione in camere delle autonomie,
quindi non elettiva, quindi molto meno costosa, con un risparmio che si
stima vicino al miliardo. Come racconta Francesco Maesano su Europa
le reazioni parlano da sole. Tra i parlamentari cinquestelle c’è chi
vorrebbe abolire la camera e non il senato, chi vorrebbe mantenere
entrambe le camere così come sono, chi dice che si deve aspettare il
responso della Rete e chi dice che con Renzi non si parla ma non spiega
perché.
Insomma, come già successo sulle province, il passaggio dalle parole
ai fatti si rivela un problema per un movimento molto più preoccupato di
parlare all’opinione pubblica fuori dall’aula che di risolvere i problemi dentro.
Renzi riconosce che non tutti gli “onorevoli cittadini” sono uguali,
che alcuni hanno buone intenzioni e stanno imparando il mestiere. È un
modo per sfidarli sul loro terreno, un’apertura di credito tattica per
costringerli a scoprire le carte sui temi a loro più cari e sui quali
anche il Pd si gioca un bel pezzo di consenso elettorale.
Poi, naturalmente, nemmeno a Renzi può bastare la capacità di dettare
l’agenda. La disillusione dei cittadini verso la politica è così
radicata e la crisi sociale così profonda che non basta
l’effetto-annuncio. Lui è il primo a saperlo e, a giudicare da queste
ore, ha fretta di dimostrarlo.
Il
partito di Monti, fondato un anno fa, si è già spaccato. Le parole
d’ordine erano rigore, sobrietà e autorevolezza. Ora il deputato
Librandi chiede le dimissioni dell'ex Mario Mauro, mentre l'ex finiano
Della Vedova parla di Pier Ferdinando Casini come un esempio di "Dr.
Jekyll e Mr Hyde"
Nella prima e-news del 2014 la proposta di un patto di coalizione,
una soluzione che «toglie alibi a tutti», l'impegno sui diritti civili,
tagli ai partiti e jobs act
Basta con le «stanche liturgie di sempre, i tavoli, le riunioni
di coalizione», è il momento di «lanciare in modo chiaro e trasparente
le nostre proposte». Lo scrive Matteo Renzi sulla sua e-news 380, pubblicata oggi sul suo sito.
Il segretario del Pd avverte che il Pd «da solo non basta» e «le regole
si scrivono insieme» a tutti. A cominciare da quelle sulla riforma
elettorale, per cui propone tre ipotesi e «tutte e tre garantiscono
governabilità. Alternanza. Chiarezza. Sono tutte comprensibili da
chiunque. Sono chiare e restituiscono fiducia nella politica». E
annuncia subito un incontro con i senatori il 14 gennaio e la
convocazione della direzione Pd per il 16.
Parte così il 2014 di lavoro per il nuovo leader del Pd, dopo gli
auguri («Buon anno a tutti. È il primo giorno lavorativo dell’anno e
allora aggiungo anche un bel “Buon Lavoro a tutti”. Ne abbiamo un gran
bisogno»), con un «pensiero particolare a chi ha perso il lavoro e a chi
lo sta cercando», e l’auspicio di «un 2014 ricco di sogni concreti».
Subito le riforme. Eccole le «tre possibili soluzioni alle altre
forze politiche sulla legge elettorale»,s crive Renzi: «Togliamo gli
alibi agli altri: sono tre soluzioni molto diverse l’una dall’altra
ma tutte e tre con la fondamentale caratteristica di rispettare
il mandato delle primarie dell’8 dicembre che costituisce il riferimento
fondamentale mio e del Pd. Doppio turno come i sindaci, modello
spagnolo con premio di maggioranza e circoscrizioni piccole,
rivisitazione della legge Mattarella con premio di maggioranza al posto
del recupero proporzionale. Vediamo gli altri se ci stanno o vogliono
solo perdere tempo», scrive, «tutte e tre garantiscono governabilità.
Alternanza. Chiarezza. Sono tutte comprensibili da chiunque. Sono chiare
e restituiscono fiducia nella politica».
Sugli impegni il Pd, dice Renzi, «sarà a totale disposizione dei
singoli partiti per incontri bilaterali che aiutino a precisare,
approfondire, modificare la proposta migliore» e lancia «il 14 gennaio
la Commissione affari costituzionali della camera entra nel vivo. E per
regolamento ha pochissimo tempo per decidere. Dunque, se vogliamo fare
le cose sul serio, eccoci. In quindici giorni la politica può recuperare
la faccia che ha perso in questi anni».
L’incontro con i senatori «così ci parliamo in faccia, senza troppi
giri di parole, circa la necessaria trasformazione del senato in Camera
delle Autonomie e quindi la cancellazione di incarichi elettivi
e retribuiti in senato». A seguire poi la direzione Pd, convocata per il
16 gennaio, quando si mostrerà anche «come procedere per il Jobs Act
che è un documento molto più articolato di quello che si è letto fino ad
oggi».
Sui diritti civili ecco poi cosa propone il sindaco di Firenze: «Sarà
cura del Pd chiedere dunque che ci sia un capitolo Diritti civili che
comprenda non solo le modifiche alla Bossi Fini o le unioni civili per
persone dello stesso sesso o la legge sulla cooperazione internazionale o
i provvedimenti per le famiglie, ma anche una disciplina più moderna ed
efficace delle adozioni».
In calce all’e-news, la lettera inviata ai partiti:
«Gentilissimi, nei giorni scorsi quasi tre milioni di italiani mi hanno
affidato l’incarico di guidare il Partito democratico attraverso le
primarie. Si tratta di una responsabilità molto bella che cercherò di
adempiere con il massimo della dedizione, del coraggio, della
fantasia. Non credo di esagerare quando dico che il voto delle primarie è
un messaggio per tutta la classe dirigente, non solo per noi. Il 2013
che si è appena chiuso è stato un anno terribile per la politica.
Il passaggio elettorale non ha prodotto un vincitore certo, la
coalizione di maggioranza si è assottigliata prima di procedere a
riforme significative, forte è il clima di disgusto dei cittadini nei
confronti dei loro rappresentanti.
Le primarie hanno impegnato il mio partito, il PD, primo partito nel
voto del 2013 e in termini di rappresentanza parlamentare a prendere
l’iniziativa, in modo rapido e chiaro. E credo giusto farlo senza
tattiche e secondi fini. Da noi i cittadini oggi esigono rapidità di
decisione e chiarezza delle posizioni. Oggi, primo giorno lavorativo del
2014, dobbiamo dimostrare di aver chiaro che non possiamo perdere
neanche un secondo.
Il mio partito chiede alle forze politiche che siedono in parlamento,
a tutte e ciascuna, di uscire dalla tattica e provare a chiudere un
accordo serio, istituzionale, su tre punti.
1) Una legge elettorale che sia maggioritaria, che garantisca la
stabilità e l’alternanza, che eviti il rischio di nuove larghe intese.
2) Una riforma del bicameralismo con la trasformazione del Senato in
Camera delle Autonomie Locali e la cancellazione di ogni indennità per i
senatori che non vengono più eletti ma diventano tali sulla base dei
loro ruoli nei Comuni e nelle Regioni.
3) Una riforma del titolo V che semplifichi il quadro costituzionale e
istituzionale, che restituisca allo Stato alcune competenze oggi in
mano alle Regioni (per esempio l’energia) e che riduca il numero e le
indennità dei consiglieri regionali al livello di quello che guadagna il
sindaco della città capoluogo.
Per essere ancora più stringenti e rispettare la tempistica che ci
viene dal Regolamento della Camera, dove la Commissione Affari
Costituzionali sta esaminando la legge elettorale, il PD fa un ulteriore
passo in avanti. Pur consapevoli del ruolo di partito di maggioranza
relativa, rinunciamo a formulare la nostra proposta ma offriamo
diversi modelli alle forze politiche che siedono insieme a noi in
Parlamento, convinti come siamo che ciascuna di queste tre proposte
rispecchi il mandato assegnatoci dagli elettori delle primarie. Pur
essendo il primo partito non imponiamo le nostre idee, ma siamo pronti a
chiudere su un modello tra quelli qui sommariamente esposti.
I. Riforma sul modello della legge elettorale spagnola.
Divisione del territorio in 118 piccole circoscrizioni con attribuzione
alla lista vincente di un premio di maggioranza del 15% (92 seggi).
Ciascuna circoscrizione elegge un minimo di quattro e un massimo di
cinque deputati. Soglia di sbarramento al 5%
II. Riforma sul modello della legge Mattarella rivisitata. 475
collegi uninominali e assegnazione del 25% dei collegi restanti
attraverso l’attribuzione di un premio di maggioranza del 15% e di un
diritto di tribuna pari al 10% del totale dei collegi
III. Riforma sul modello del doppio turno di coalizione dei sindaci.
Chi vince prende il 60% dei seggi e i restanti sono divisi
proporzionalmente tra i perdenti. Possibile sia un sistema con liste
corte bloccate, con preferenze, o con collegi. Soglia di sbarramento al
5%
Il PD è pronto a recepire suggerimenti, stimoli, critiche su ciascuna
di queste tre proposte. Ma chiediamo certezza dei tempi e trasparenza
nel percorso: la politica non può più fare passi falsi. Nella prossima
settimana sarà nostra cura chiedere appuntamenti bilaterali a chi di voi
sarà disponibile a incontrarsi. L’obiettivo sarà capire in modo
semplice e trasparente se esiste la possibilità di chiudere rapidamente
un accordo istituzionale. Non servono molti giri di parole: volendo, in
qualche ora si chiude tutto. Volendo, però. E il PD dimostra di volerlo
nel momento in cui non si attesta su una sola posizione secca, prendere o
lasciare, che sarebbe irrispettosa delle altre forze politiche, ma apre
a più possibilità chiedendo solo di non perdere neanche un minuto.
Vi auguro un 2014 migliore del 2013. Per voi, per le vostre famiglie,
certo. Ma anche per il nostro Paese. Nel rispetto dei diversi ruoli,
abbiamo una straordinaria responsabilità: un accordo alla luce del sole,
il più rapido e vasto possibile, sulla legge elettorale sarebbe un
segnale semplice ma chiaro che iniziamo l’anno nel migliore dei modi.
Perché prima dei destini personali e dei rispettivi partiti, viene
l’Italia e vengono gli Italiani. Il PD è pronto ad accettare la sfida»
Il discorso di Napolitano è stato impeccabile. Adesso spetta
soprattutto al gruppo dirigente del Pd, ivi compreso Letta, il da farsi.
Senza escludere nulla
In equilibrio fra svelenimento delle polemiche e richiamo al
fare, il messaggio di fine anno di Giorgio Napolitano è stato
semplicemente impeccabile.
Non sprecheremo qui righe sul fallito “boicottaggio” dei
brunettian-minzoliniani (gli ascolti sono andati benissimo) e nemmeno
sulle farneticazioni un po’ impappinate del comico di Cinque Stelle.
Piuttosto, è utile cercare di cogliere il senso politico vero del
discorso del presidente della repubblica. Che, ancora una volta, ha
rilanciato nel campo dei partiti il compito di fare le riforme, sia pure
«senza entrare nel merito» e senza drammatizzare più di tanto il nesso
già ben noto fra riforme e svolgimento del rinnovato mandato
presidenziale.
Se Napolitano, con garbo ma con chiarezza, ha riproposto l’urgenza di
agire, è evidente che adesso la parola è ai partiti. Anzi – diciamola
chiara – ad un partito, il Pd, che è quello che possiede le chiavi del
governo e della legislatura.
Il capo dello stato, che è un politico fine e espertissimo, coglie
che la linea del nuovo Pd renziano è cambiata, e ne tiene conto, per
esempio, evitando apologie della governabilità come valore in sé.
Sia Letta che Renzi hanno apprezzato molto il discorso del capo dello stato. Ergo, sono entrambi convinti che è venuto il momento di passare ai fatti.
Dunque il punto, in sostanza, è che il gruppo dirigente del Pd (ivi
compreso il presidente del consiglio) è chiamato a stabilire un percorso
chiaro e a disporsi al confronto con gli altri partiti della
maggioranza. Come, vedranno loro: se a Renzi non garba il
tradizionale format del vertice di maggioranza se ne trovi un altro, ma
non vorremmo che si discutesse per giorni se il tavolo debba essere
rotondo o quadrato.
La cosa positiva di queste ore invece è che il Pd sta ritrovando una
sua unità sulla impostazione del nuovo segretario: o il governo fa le
cose o è meglio guardarsi negli occhi e decidere il da farsi, senza
escludere alcuna possibilità. Lo dice Renzi, lo ripete Cuperlo, lo
pensano in tutte le aree del partito: le primarie sono veramente
servite.
Una linea pragmatica, tuttora senza un finale scritto. Ma è una linea. E l’impressione è che al Quirinale l’abbiano intesa.