Università di Capetown, Sudafrica – 6 giugno 1966
Gentile Rettore, Gentile Vice Rettore, Professor Robertson, Signor
Diamond, Signor Daniel, Signore e Signori,
Sono venuto qui, questa sera, spinto dal profondo interesse e
affetto per un paese colonizzato prima dagli Olandesi nella metà del
Settecento, poi occupato dagli inglesi, ed alla fine indipendente; un
paese dove gli abitanti nativi furono inizialmente repressi, e dove
con gli stessi le relazioni rimangono ancora un problema; un paese
che definisce se stesso come una frontiera ostile; un paese che ha
reso utilizzabili ricche risorse naturali attraverso l’applicazione
di moderne tecnologie; un paese che era importatore di schiavi, e che
ora deve lottare per cancellare le ultime tracce del periodo
schiavista. Mi riferisco, naturalmente agli Stati Uniti d’America.
Ma sono lieto di essere qui, mia moglie ed io e tutto il nostro
gruppo, siamo lieti di essere qui in SudAfrica, e siamo lieti di
essere venuti a Città del Capo. Mi sto già godendo la visita. Cerco
di incontrare e scambiare vedute con persone di ogni tipo, a tutti i
livelli della cultura sudafricana, inclusi coloro che rappresentano
il punto di vista del governo.
Oggi sono lieto di poter incontrare l’Unione degli studenti
sudafricani. Per un decennio, la Nusas si è mossa e ha lavorato per
i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, principi
che personificano le speranze collettive degli uomini di buona
volontà di tutto il globo. Il vostro lavoro, nel vostro paese così
come nelle organizzazioni studentesche internazionali, ha portato
grande credito a voi ed al vostro paese. So che l’Associazione
nazionale degli studenti in Usa sente come particolarmente vicina la
relazione con la vostra associazione. E vorrei ringraziare
innanzitutto il signor Ian Robertson, che per primo ha posto questo
invito per conto della vostra associazione. Vorrei ringraziarlo per
la sua gentilezza nell’avermi voluto qui. Sono molto dispiaciuto
che non possa essere qui con noi questa sera. Sono molto felice di
avere avuto la possibilità di incontrarlo e parlarci qualche ora fa.
E gli ho regalato una copia di “Biografia del Coraggio”, un libro
scritto dal Presidente John Kennedy autografato per lui dalla vedova,
la Signora Jacqueline Kennedy.
Questo è il Giorno dell’Affermazione, una celebrazione della
libertà. Noi siamo qui in nome della libertà. Alla base della
libertà e della democrazia occidentali c’è la convinzione che
ogni individuo, ogni singolo figlio di Dio, sia la pietra di
paragone, e tutta la società, tutti i gruppi, tutte le nazioni,
esistano a vantaggio della persona. Di conseguenza l’allargamento
delle libertà degli essere umani deve essere l’obiettivo supremo e
la pratica duratura di ogni società occidentale. Il primo elemento
della libertà individuale è la libertà di espressione: il diritto
di esprimere e comunicare idee, per distinguersi dalle bestie dei
campi e delle foreste; il diritto di richiamare i governi ai loro
doveri e obblighi; soprattutto il diritto di affermare la propria
adesione e lealtà ad una parte politica, alla società, alle persone
con le quali condividiamo la nostra terra, la nostra eredità ed il
futuro dei nostri figli.
Alla pari della libertà d’espressione c’è il potere di
essere ascoltati, il potere di prendere parte alle decisioni del
governo, decisioni che modellano le nostre vite. Tutto ciò che rende
la vita degna di essere vissuta – famiglia, lavoro, istruzione, un
luogo dove allevare i propri figli e dove trovare riposo – tutto
dipende dalle decisioni del governo; tutto può essere spazzato via
da un governo che non presta ascolto alle richieste della
popolazione, e intendo di tutta la popolazione. Quindi l’essenza
stessa dell’umanità può essere tutelata e protetta solamente
laddove c’è un governo che deve rispondere non solo ai ricchi, non
solo ai fedeli di una particolare religione o agli appartenenti ad
una particolare razza ma a tutto il popolo. Ed anche un governo con
il pieno consenso dei governati, come nella nostra Costituzione, deve
essere limitato nel suo potere di agire contro il popolo così che
che non ci dovrebbe essere interferenza con il diritto a professare
la propria fede, ma anche nessuna interferenza con la sicurezza
personale; nessuna imposizione arbitraria di pene o punizioni contro
ordinari cittadini da parte di ufficiali di qualsivoglia rango;
nessuna restrizione alla libertà delle persone di ottenere
l’istruzione, o cercare un lavoro o qualsiasi opportunità, così
che ognuno possa diventare qualunque cosa sia in grado di diventare.
Questi sono i diritti sacri della società occidentale. Proprio
questi diritti hanno rappresentato le grandi differenze fra noi e la
Germania nazista, così come lo furono fra Atene e la Persia. Questi
sono oggi l’essenza delle nostre differenze con il comunismo. Sono
fermamente contrario al comunismo perché esalta lo Stato sopra
l’individuo e sopra la famiglia, e perché il suo sistema prevede
l’assenza delle libertà di espressione, protesta, religione e
stampa, assenze tipiche di un regime totalitario. Tuttavia la maniera
di opporsi al comunismo non è quella di imitare la sua dittatura, ma
di estendere le libertà individuali. In ogni nazione ci sono persone
che etichetterebbero come comunista chiunque minacci i loro
privilegi. Ma posso dirvi, da ciò che ho visto viaggiando in tutte
le parti del mondo, che riformare non è comunismo. E che la
negazione della libertà, in nome di qualsiasi cosa, può solo
rafforzare lo stesso comunismo che sostiene di combattere.
Molte nazioni hanno stabilito le proprie definizioni e
dichiarazioni di questi principi. E ci sono spesso state ampie e
tragiche differenze fra promesse e risultati, fra teoria e realtà. E
tuttavia i grandi ideali ci hanno costantemente richiamato ai nostri
doveri. E, con dolorante lentezza, noi negli Stati Uniti abbiamo
esteso ed allargato il significato e la pratica della libertà a
tutta la nostra gente. Per due secoli, il mio paese ha combattuto per
superare l’handicap, da noi stesso imposto, del pregiudizio e della
discriminazione basati sulla nazionalità, sulla classe sociale,
sulla razza – discriminazione profondamente ripugnante rispetto
alla teoria ed precetti della nostra Costituzione. Anche all’epoca
di mio padre, che crebbe a Boston, Massachusetts, c’erano cartelli
che dicevano “No Irish need apply “ [gli irlandesi non facciano
domanda di lavoro]. Due generazioni dopo, il Presidente Kennedy
divenne il primo cattolico irlandese, ed il primo cattolico, a
guidare la nazione; ma quanti uomini capaci, prima del 1961, hanno
visto negata loro la possibilità di contribuire al progresso della
nazione dal momento che erano cattolici, o perché erano di origine
irlandese? Quanti figli di italiani o di ebrei o polacchi dormirono
in quartieri degradati – non istruiti, non educati, le loro
potenzialità per la nostra nazione e per la razza umana perse per
sempre? Ancora oggi, quale prezzo pagheremo prima di poter assicurare
piene opportunità ai milioni di neri americani?
Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto molto di più per
assicurare l’uguaglianza ai nostri cittadini neri e per aiutare le
persone indigenti, sia bianchi che neri, che negli ultimi cent’anni.
Ma molto, molto di più resta da fare. Ci sono milioni di neri non
formati per i lavori più semplici, e migliaia sono privati
quotidianamente della totalità e uguaglianza dei propri diritti
civili di fronte alla legge; e la violenza dei diseredati, degli
insultati e dei feriti, si profila per le strade di Harlem e per
quelle di Watts e del Southside di Chicago.
Ma allo stesso tempo un nero americano si sta addestrando ora come
astronauta, uno dei primi esploratori dello spazio; un altro è capo
degli avvocati del governo degli Stati Uniti, e a dozzine siedono sui
banchi dei nostri tribunali; ed un altro, il Dr. Martin Luther King,
è il secondo uomo di origine Africana a vincere il premio Nobel per
la Pace per le sue campagne non violente a favore della giustizia
sociale fra tutte le razze.
Abbiamo fatto approvare leggi che proibiscono discriminazione
nell’istruzione, nell’assunzione, nell’ambito immobiliare; ma
queste leggi da sole non possono superare l’eredità di centinaia
di anni di famiglie distrutte e di bambini rachitici, di povertà,
degradazione e dolore. Quindi il cammino verso l’uguaglianza della
libertà non è facile e ci sono ancora grandi sforzi e pericoli che
ognuno di noi dovrà affrontare nel proprio cammino. Siamo impegnati
a favore di un cambiamento pacifico e non violento, e questo è
importante che tutti lo comprendano – anche se il cambiamento è
sconvolgente. Tuttavia, anche nella turbolenza delle proteste e della
lotta c’è una maggiore speranza per il futuro, mentre gli uomini
imparano a rivendicare e a raggiungere per se stessi i diritti che
prima erano rivendicati da altri.
E più importante di tutto, tutto lo sfoggio della forza del
governo è stato dedicato all’obiettivo dell’uguaglianza davanti
alla legge, come adesso ci stiamo impegnando per il raggiungimento,
di fatto, delle pari opportunità. Dobbiamo riconoscere l’assoluta
uguaglianza di tutte le persone: dinanzi a Dio, dinanzi alla legge e
nel governo della cosa pubblica. Dobbiamo farlo non perché sia
economicamente vantaggioso, per quanto lo sia; non perché così
vogliono le leggi di Dio e dell’uomo, sebbene lo impongano; non
perché così vogliono popoli di terre lontane. Dobbiamo farlo per
un’unica e fondamentale ragione: perché è la cosa giusta da fare.
Riconosciamo che negli Stati Uniti ci sono problemi ed ostacoli che
bloccano della piena attuazione di questi ideali così come
riconosciamo che altre nazioni, in America Latina in Asia ed in
Africa, hanno i propri problemi politici, economici, e sociali, le
proprie barriere all’eliminazione delle ingiustizie.
Alcuni sono preoccupati che il cambiamento cancellerà i diritti
delle minoranze, particolarmente dove la minoranza è di razza
differente rispetto alla maggioranza. Noi negli Stati Uniti crediamo
nella protezione delle minoranze; riconosciamo i contributi che
possono dare e la leadership che possono offrire; e non crediamo che
qualunque popolo – sia che appartenga alla minoranza o alla
maggioranza, o sia che si tratti di singoli individui – sia
“sacrificabile” per la causa della teoria o della politica.
Riconosciamo inoltre che la giustizia fra uomini e nazioni è
imperfetta, e che l’umanità a volte progredisce davvero molto
lentamente. Il modello e il ritmo dello sviluppo non sono uguali per
tutti. Le nazioni, al pari degli uomini, marciano soventi al ritmo di
tamburi diversi e gli Stati Uniti non sono in grado di indicare né
di trapiantare soluzioni valide per tutti – e questo non è il
nostro intento. Ciò che conta, ad ogni modo, è che tutte le nazioni
marcino verso un allargamento della libertà, verso la giustizia per
tutti, verso una società sufficientemente forte e flessibile da
incontrare le esigenze della propria gente – senza discriminazione
di razza – e rispondere alle richieste di un mondo di immenso e
sbalorditivo cambiamento che riguarda tutti noi.
In poche ore, l’aereo che mi ha portato qui ha attraversato
oceani e paesi che sono stati crogiolo della storia dell’umanità.
In pochi minuti abbiamo seguito le tracce delle migrazioni degli
uomini nel corso di migliaia di anni; in pochi secondi abbiamo
passato campi i battaglia dove milioni di uomini hanno combattuto e
sono morti. Non abbiamo visto nessun confine nazionale, nessun vasto
golfo o alte mura che dividono le popolazioni; solo la natura ed il
lavoro dell’uomo – case, fabbriche, fattorie – che riflettono
lo sforzo comune di arricchire la propria vita. Da ogni parte le
nuove tecnologie e le comunicazioni portano gli uomini e le nazioni
ad essere più vicini tra loro, le preoccupazioni di uno,
inevitabilmente diventano le preoccupazioni di tutti. E la nostra
nuova vicinanza sta strappando via le false maschere, l’illusione
di differenze che sono la radice delle ingiustizie, dell’odio e
della guerra. Solo un uomo attaccato alle cose terrene può ancora
aggrapparsi alla buia ed avvelenante superstizione secondo cui il suo
mondo è delimitato dalla collina più vicina, il suo universo
finisce alla rive del fiume, la sua comune umanità è racchiusa
nello stretto circolo di quelli che condividono con lui città,
vedute e colore della pelle.
È il vostro lavoro, il compito delle persone giovani in questo
mondo, di strappare le ultime rimanenze di quella antica, crudele
convinzione dalla civiltà dell’uomo. Ogni nazione affronta
ostacoli ed obiettivi differenti, plasmati dalla propria storia ed
esperienza. Tuttavia mentre parlo con ragazzi di tutto il mondo, sono
impressionato non tanto dalla diversità ma dalla vicinanza dei loro
obiettivi, dei loro desideri, e delle loro preoccupazioni e speranze
per il futuro.
Troviamo discriminazione a New York, l’ineguaglianza razziale
dell’apartheid in SudAfrica, e c’è la schiavitù sulle montagne
del Perù. Persone muoiono di fame nelle strade dell’India; un ex
primo ministro è stato sommariamente giustiziato in Congo; gli
intellettuali sono imprigionati in Russia; e migliaia vengono
trucidati in Indonesia; la ricchezza è riversata in ogni parte del
mondo sugli armamenti. Questi sono mali diversi, ma sono frutto del
lavoro comune dell’uomo. Riflettono le imperfezioni della giustizia
umana, l’inadeguatezza della compassione umana, la difettosità
della nostra sensibilità verso le sofferenze dei nostri compagni;
marcano il limite della nostra capacità di usare la conoscenza per
il bene comune dei nostri compagni in tutto il mondo. E perciò
richiedono qualità comuni di coscienza ed indignazione, una
condivisa determinazione a scacciare le sofferenze non necessarie dei
nostri compagni a casa così come in tutto il mondo.
Sono queste le qualità che fanno della nostra gioventù la sola
vera comunità internazionale. Più che su questo credo che potremmo
essere d’accordo su quale tipo di mondo vogliamo costruire. Sarebbe
un mondo di nazioni indipendenti, che si muovono verso una comunità
internazionale,ognuna delle quali rispetta e protegge le fondamentali
libertà umane. Sarebbe un mondo dove ad ogni governo verrebbe
richiesto di accettare la propria responsabilità al fine di
assicurare la giustizia sociale. Sarebbe un mondo caratterizzato da
un progresso economico costantemente in accelerazione – non da
un’assistenza sociale materiale fine a sé stessa, ma piuttosto un
mezzo per liberare le capacità di ogni essere umano di accrescere i
propri talenti e di soddisfare le proprie speranze. Sarebbe, in
breve, un mondo che tutti noi saremmo orgogliosi d’aver costruito.
Solo un po’ a Nord da quì, ci sono terre di sfida e di
opportunità, ricche di risorse naturali, di terra e minerali e di
persone. Ma ci sono anche terre caratterizzate dalle più grandi
disuguaglianze, da una sconvolgente ignoranza, da tensioni sociali e
lotte, e da grandi ostacoli dovuti al clima ed alla posizione
geografica. Molte di queste nazioni, come colonie, furono oppresse e
sfruttate. Ancora oggi non si sono allontanate dalle pesanti
tradizioni occidentali; sono speranzose e stanno scommettendo su
progresso e stabilità basandosi sulla possibilità che noi un giorno
affronteremo le nostre responsabilità nei loro confronti, per
aiutare a sconfiggere la loro povertà.
Nel mondo che ci piacerebbe costruire, il SudAfrica giocherebbe un
ruolo eccezionale e un ruolo guida in questo sforzo. Questo paese è
senza dubbio il deposito preminente della ricchezza, conoscenza e
talento dell’intero continente. Qui troviamo la gran parte dei
ricercatori scientifici d’Africa e le più importanti industrie
dell’acciaio, la maggior parte delle scorte di carbone e potenza
elettrica. Molti sudafricani hanno dato un contributo significativo
allo sviluppo tecnico dell’Africa e alla scienza mondiale; i nomi
di alcuni sono conosciuti in ogni parte del mondo in cui si cerchi di
eliminare le devastazioni delle malattie tropicali e della
pestilenza. Nelle vostre facoltà e consigli, anche qui fra questo
pubblico, ci sono centinaia e migliaia di uomini e donne che
potrebbero trasformare le vite di milioni di persone per tutto il
tempo a venire. Ma l’aiuto e la guida del Sud Africa o degli Stati
Uniti non può essere accettata se noi, all’interno del nostro
paese o nelle relazioni con gli altri, neghiamo l’integrità
individuale, la dignità umana, e il senso comune dell’umanità
dell’uomo. Se vogliamo essere guide fuori dai nostri confini; se
vogliamo aiutare coloro che hanno bisogno della nostra assistenza; se
vogliamo incontrare le nostre responsabilità verso il genere umano;
dobbiamo prima di tutto demolire le barriere che la storia ha eretto
fra uomini all’interno della nostra stessa nazione, barriere di
razza e religione, di classe sociale ed ignoranza.
La nostra risposta è la speranza del mondo; è fare affidamento
sui giovani. Le crudeltà e gli ostacoli di questo pianeta che cambia
così velocemente non porteranno a dogmi obsoleti e slogan desueti.
Non può essere mosso da quelli che si aggrappano al presente che è
già moribondo, che preferiscono l’illusione della sicurezza
all’eccitazione e al pericolo che arriva anche con il più pacifico
progresso. Questo mondo richiede le qualità dei giovani: non un
periodo della vita, ma uno stato mentale, un temperamento della
volontà, una qualità dell’immaginazione, una predominanza del
coraggio sulla timidezza; dell’appetito per l’avventura sulla
vita tranquilla, un uomo come il rettore di questa università. E’
un mondo rivoluzionario quello in cui viviamo, e perciò, così come
ho detto in America Latina e in Asia e in Europa e nel mio paese, gli
Stati Uniti, sono i giovani che devono prendere il comando. Perciò
voi e i vostri giovani compatrioti, in ogni parte della terra, vi
siete trovati sotto il più grande carico di responsabilità di
qualsiasi altra generazione che sia mai vissuta.
“Non c’è”, disse un filosofo italiano, “niente di più
difficile da prendere in mano, di più pericoloso da condurre, o di
più incerto successo che il prendere la guida al fine di introdurre
un nuovo ordine di cose”. Adesso questa è la dimensione del
compito della vostra generazione e il cammino è cosparso di molti
pericoli.
Il primo pericolo è la futilità; il credere che non ci sia
niente che un uomo o una donna possa fare contro l’enorme quantità
di mali del mondo, contro la miseria, contro l’ignoranza,
l’ingiustizia o la violenza. Eppure molti dei più grandi movimenti
universali di pensiero e azione sono scaturiti dal lavoro di una
singola persona. Un giovane monaco cominciò la riforma protestante,
un giovane generale estese il proprio impero dalla Macedonia fino
alla fine delle terre conosciute, ed una giovane donna rivendicò i
territori francesi. Fu un giovane esploratore italiano che scoprì il
nuovo mondo, e un 32-enne, Thomas Jefferson, che proclamò che tutti
gli uomini sono creati uguali. “Datemi solo un punto d’appoggio”,
disse Archimede, “e vi solleverò il mondo”. Questi uomini
mossero il mondo, e noi possiamo fare altrettanto. Pochi avranno la
grandezza necessaria a piegare la storia ma ciascuno di noi può
operare per modificare una minuscola parte del corso degli eventi e
tutte queste azioni formeranno la storia di questa generazione.
Migliaia di Peace Corps stanno facendo la differenza in villaggi
isolati e nelle periferie degradate di dozzine di nazioni. Migliaia
di uomini e donne sconosciuti resistettero all’occupazione nazista
in Europa e molti di loro morirono, ma tutti aggiunsero qualcosa alla
spinta finale alla libertà dei propri paesi. La storia dell’umanità
è il prodotto di innumerevoli atti di coraggio e di fede come
questi. Ogni qualvolta un uomo si batte per un ideale o opera per
migliorare la condizione degli altri o lotta contro l’ingiustizia,
invia un minuscolo impulso di speranza e tutti questi impulsi
provenienti da milioni di centri di energia e intersecandosi gli uni
agli altri possono dar vita ad una corrente capace di travolgere i
più possenti muri dell’oppressione e dell’ostilità.
“Se Atene ti dovesse apparire grande”, disse Pericle,
“considera che la sua gloria è stata guadagnata da uomini
valorosi, e da uomini che conoscevano i propri doveri”. Questa è
la fonte della grandezza in tutte le società, e questa è la chiave
per progredire ai giorni nostri.
Il secondo pericolo è quello dell’opportunismo, di coloro che
dicono che le speranze e le convinzioni debbano piegarsi di fronte
alle necessità immediate. Naturalmente, se dobbiamo agire
efficacemente dobbiamo trattare con il mondo così com’è. Dobbiamo
realizzare le cose. Ma se c’è una cosa su cui il Presidente
Kennedy aveva preso una posizione, una cosa che toccò i sentimenti
più profondi dei giovani in tutto il mondo, era la convinzione che
l’idealismo, l’alta aspirazione e le profonde convinzioni non
sono incompatibili con i programmi più pratici ed efficienti, che
non c’è separazione fra i desideri più profondi del cuore e della
mente e la razionale applicazione dello sforzo umano ai problemi
umani. Non è realistico o è da ostinati risolvere i problemi e
agire senza la guida di uno scopo e di sommi valori morali, sebbene
noi tutti sappiamo che qualcuno sostiene che sia proprio così.
Secondo me, è sconsideratamente folle. Perché ignora le realtà
della speranza umana, della passione e della fede; forze che sono in
ultima istanza ben più forti di tutti i calcoli dei nostri
economisti o dei nostri generali. Naturalmente per conformarsi alle
norme, all’idealismo, ad una visione che deve fronteggiare pericoli
immediati, c’è bisogno di grande coraggio e fiducia in se stessi.
Ma noi sappiamo che solo quelli che azzardano, fallendo molto,
possono poi raggiungere risultati straordinari.
È questo nuovo idealismo che è anche, io credo, l’eredità
comune di una generazione che ha imparato che mentre l’efficienza
può portare ad Auschwitz, o alle strade di Budapest, solo gli ideali
di umanità ed amore posso scalare le colline dell’Acropoli.
Un terzo pericolo è la timidezza. Pochi sono pronti a sfidare con
coraggio la disapprovazione degli amici, la censura dei colleghi, la
vendetta della società. Il coraggio morale è merce più rara del
coraggio in battaglia o dell’intelligenza. Tuttavia è la qualità
essenziale, vitale per coloro che cercano di cambiare il mondo –
mondo che cede dolorosamente al cambiamento -.
Aristotele ci dice che “nelle Olimpiadi sono incoronati non i
più belli e i più forti, ma quelli che partecipano alla gara”.
“Così nella vita chi agisce giustamente vince il premio divenendo
partecipe del bello e del buono”. Sono convinto che in questa
generazione coloro che avranno il coraggio di partecipare alla lotta
troveranno compagni di strada in ogni angolo del mondo.
Per i fortunati attorno a noi, il quarto pericolo è l’agiatezza;
la tentazione di seguire il facile e famigliare cammino
dell’ambizione personale e del successo economico così ampiamente
diffuso fra quelli che hanno il privilegio dell’istruzione. Ma
questa non è la strada che la storia ha segnato per noi. Una
maledizione cinese dice: “Che possa vivere in tempi interessanti”.
Che ci piaccia o no, viviamo in tempi interessanti. Sono tempi di
pericoli e di incertezze ma sono anche tempi che danno spazio, come
mai prima d’ora, alle energie creative dell’uomo. E ciascuno sarà
giudicato e giudicherà se stesso per il contributo che avrà saputo
dare alla costruzione di una nuova società mondiale e per la misura
in cui avrà saputo plasmare il suo sforzo sulla base di alti ideali
e obiettivi.
Ora ci lasciamo, io torno al mio paese e voi rimanete qui. Noi
siamo – se un quarantenne come me può avere questo privilegio –
membri della più giovane generazione. Ognuno di noi ha il suo
proprio lavoro da fare. Lo so che ci sono momenti in cui vi sentite
davvero soli con i vostri problemi e difficoltà. Ma voglio dirvi
quanto sono impressionato per quello che cercate di raggiungere e per
lo sforzo che state compiendo, e lo dico, non solo per me, ma per
tutte le donne e gli uomini di questo mondo. E spero che voi possiate
spesso prendere giovamento dalla consapevolezza che vi state unendo
con i vostri compagni in ogni paese del mondo – loro lottano con i
propri problemi e voi con i vostri, ma siete tutti uniti da un unico
fine; come i giovani ragazzi del mio paese e di tutti i paesi che ho
visitato, tutti voi siete molto più uniti con i fratelli della
vostra generazione che ogni altra precedente generazione; siete
determinati a costruire un futuro migliore. Il Presidente Kennedy
stava parlando ai giovani degli Stati Uniti, ma oltre che a loro a
tutti i giovani del mondo, quando disse “L’energia, la fede, la
devozione che portiamo per questo sforzo illuminerà il nostro paese
e tutti quelli che lo serviranno, ed il bagliore di quel fuoco potrà
davvero accendere il mondo.
Con una buona coscienza come nostra sola sicura ricompensa, con la
storia come giudice finale delle nostre azioni, andiamo avanti e
guidiamo il paese che amiamo, chiedendo la Sua benedizione ed il Suo
aiuto, ma sapendo che qui su questa terra, il lavoro di Dio deve
essere il nostro lavoro.
Vi ringrazio.
Roberto F. Kennedy