Riccardo Maccioni
giovedì 26 settembre 2019
Su La Civiltà Cattolica le parole del
Pontefice nel colloquio con i gesuiti durante il recente viaggio in
Africa
"Vi chiedo di pregare per me":
Papa Francesco lo dice alla fine di ogni incontro, che sia una
udienza o un Angelus. Da qualche tempo ha anche aggiunto: "Ne ho
davvero bisogno". Una sorta di "elemosina", questa
richiesta di preghiera, come lui stesso ha detto nell'incontro con 24
confratelli gesuiti di Mozambico e Madagascar nel recente viaggio in
Africa, ai quali ha spiegato anche il perché. "È importante
che la gente preghi per il Papa e per le sue intenzioni. Il Papa
è tentato, è molto assediato: solo la preghiera del suo popolo può
liberarlo, come si legge negli Atti degli Apostoli". A riferire
le parole del pontefice, di questi incontri a porte chiuse, è
su Civiltà Cattolica il direttore padre Antonio
Spadaro. "Quando Pietro era imprigionato, la Chiesa ha pregato
incessantemente per lui. Se la Chiesa prega per il Papa, questo è
una grazia. Io davvero - dice Francesco - sento continuamente il
bisogno di chiedere l'elemosina della preghiera".
Il pastore della Chiesa universale. Ma
anche un semplice “padre”, un uomo come gli altri che ha bisogno
della grazia di Dio e del sostegno del suo popolo per vivere al
meglio il proprio ministero di servizio totale a Cristo e all’uomo.
Nel dialogo con i gesuiti africani pubblicato come anteprima del
prossimo quaderno de La Civiltà Cattolica, le tre dimensioni
appaiono perfettamente complementari, unite senza distinzioni, capaci
di disegnare una figura di grande spessore spirituale, di intensa
profondità, eppure capace di parlare a tutti.
«L’elezione a Papa – confida
Francesco rispondendo a uno scolastico (equivalente di un seminarista
diocesano) – non mi ha convertito di colpo, in modo da rendermi
meno peccatore di prima. Io sono e resto un peccatore. Per questo mi
confesso ogni due settimane. Non c’è alcuna magia nell’essere
eletto Papa. Il Conclave non funziona per magia».
Durante il suo viaggio in Mozambico,
per la precisione giovedì 5 settembre, il Pontefice ha incontrato in
forma privata un gruppo di 24 gesuiti. Il testo anticipato da La
Civiltà Cattolica è la trascrizione completa di quel dialogo, un
botta e risposta in cui Bergoglio ribadisce la netta differenza tra
l’evangelizzazione, che «libera» e il proselitismo che invece fa
perdere la libertà e «prevede sempre gente in un modo o nell’altro
assogettata. Nell’evangelizzazione il protagonista è Dio, nel
proselitismo è l’io».
All’incontro in Mozambico erano
presenti, sotto la guida del padre provinciale Chiedza Chimhanda, 20
gesuiti del Paese ospitante, 3 dello Zimbabwe, un portoghese.
Parlando con loro Francesco ha indicato nella «fissazione morale
esclusiva sul sesto comandamento» una delle dimensioni del
clericalismo, grave distorsione della vita consacrata. «Ci si
concentra sul sesso – spiega il Papa citando l’insegnamento di un
“grande gesuita” – e poi non si dà peso all’ingiustizia
sociale, alla calunnia, ai pettegolezzi, alle menzogne». Ma
decisamente pericoloso e anticristiano è anche l’atteggiamento di
rifiuto dell’accoglienza, la filosofia di chi alza barriere,
l’indifferenza verso i poveri, l’ostilità nei confronti del
diverso, dello straniero.
«La xenofobia – spiega – distrugge
anche il popolo di Dio». E ancora: «costruire muri significa
condannarsi a morte. Non possiamo vivere asfissiati da una cultura da
sala operatoria, asettica». Ma per capirlo pienamente, per dare
spazio al vento liberante dello Spirito, c’è bisogno della
preghiera, quella che Bergoglio chiede alla fine di ogni incontro. «È
importante che la gente preghi per il Papa e per le sue intenzioni.
Il Papa è tentato, è molto assediato: solo la preghiera del suo
popolo può liberarlo, come si legge negli Atti degli apostoli.
Quando Pietro era imprigionato, la Chiesa ha pregato incessantemente
per lui.
Se la Chiesa prega per il Papa, questo
è una grazia. Io davvero sento continuamente il bis l’elemosina della preghiera. La
preghiera del popolo sostiene».
La preghiera, dunque, come esercizio di
svuotamento di sé per lasciare spazio all’azione dello Spirito,
come via per comprendere e seguire la volontà del Padre su di noi,
come antidoto alla vita comoda. Condizione che mal si coniuga con il
Vangelo, con la condizione dei cristiani all’acqua di rosa. «Quando
noi entriamo in questo tepore, in questo atteggiamento di tiepidezza
spirituale – ha detto il Papa stamani durante la Messa in Casa
Santa Marta –, trasformiamo la nostra vita in un cimitero. C’è
soltanto chiusura perché non entrino dei problemi come questa gente
che “sì, sì, siamo nelle rovine ma non rischiamo: meglio così.
Già siamo abituati a vivere così”».
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