Romano Prodi
“Il Messaggero” del 13 gennaio 2019
C'è molto in gioco nelle prossime
elezioni europee, alle quali troppi cittadini si avvicinano con un
senso di smarrimento e di frustrazione, dimenticando la nostra storia
e, insieme ad essa, i contributi che, se camminiamo insieme, possiamo
dare per affrontare i problemi di oggi e per riaccendere le speranze
per il domani del nostro pianeta così affaticato.
Nel passato l'Europa ha affrontato,
attraverso drammi e conflitti, tutti i grandi scontri che
insanguinano e dividono il mondo d'oggi, trovando le mediazioni e
preparando i passi in avanti che più hanno fatto progredire la
nostra tribolata umanità. Ci sorprendiamo delle lotte religiose fra
sciiti e sunniti che oggi infiammano il mondo islamico e non pensiamo
alla faticosa convivenza che i
Paesi europei hanno raggiunto dopo
secoli di lotte religiose fra i cristiani. Non ripensiamo al nostro
faticoso cammino verso la democrazia intervallato dalle esperienze
dittatoriali e dalle guerre che hanno devastato il nostro continente
per tutto il secolo scorso, ma alle quali l'Unione Europea ha potuto
fare seguire il più lungo intervallo di pace mai esistito nella
storia. Senza dimenticare il benessere che abbiamo potuto raggiungere
costruendo (caso unico nella storia) un mercato comune che ha unito
tra di loro Paesi ripetutamente devastati da guerre commerciali e
dalle barriere al libero movimento di uomini e di beni.
Nella frustrazione nella quale siamo
immersi dimentichiamo persino la fatica con cui abbiamo costruito lo
stato sociale che, pur con i suoi limiti e le sue imperfezioni, resta
la più grande conquista della politica mondiale e non riesce ad
essere riprodotto nella sua universalità perfino nel più ricco
Paese del mondo e non sembra essere un obiettivo prioritario nemmeno
per la Cina, astro nascente della politica mondiale.
Sappiamo benissimo che, di fronte alla
potenza americana e all'ascesa cinese nessuno Stato europeo potrà da
solo conservare quanto è stato conquistato in passato: eppure ci
stiamo illudendo che il ritorno alle frontiere nazionali possa essere
la soluzione dei problemi e il superamento degli ostacoli che rendono
faticoso il progresso del cammino europeo. Facciamo finta di ignorare
che i grandi cambiamenti o vengono imposti con le armi o esigono
tempo e fatica. Eppure, invece di dedicarci a preparare il futuro,
lottiamo per dividerci il presente, pur sapendo che anche il presente
non potrà essere conservato se non rafforzando la nostra unità.
Se siamo incapaci di interpretare il
ruolo che l'Europa unita può giocare nel mondo, una grande
responsabilità grava certamente anche sui responsabili dei governi e
dei partiti che più si dichiarano europeisti. I governi hanno
sistematicamente anteposto gli interessi elettorali di breve periodo
alla politica di coesione necessaria ad assicurare all'Europa il
ruolo di protagonista nell'economia e nella politica mondiale.
I secondi hanno regolarmente usato le
elezioni europee per garantire un posto ai perdenti delle elezioni
nazionali, contribuendo quindi anch'essi a sminuire il ruolo delle
istituzioni comunitarie che, dopo avere fatto grandi cose in passato,
si sono ridotte a giocare un ruolo sempre minore, senza più avere la
forza e il coraggio di affrontare i grandi temi oggi sul tavolo:
dalle regole della globalizzazione alle migrazioni, dalle
disuguaglianze economiche alle conseguenze delle nuove tecnologie.
Tutti questi limiti, uniti alla
sciagurata gestione della lunga crisi economica, hanno allontanato il
nostro cuore dalla grandezza e dalla necessità della missione
europea. Noi tutti comprendiamo che non vi è alternativa al destino
comune: il nostro cervello ci fa capire che le nostre energie si
indeboliscono ogni giorno di fronte a superpotenze sempre più forti
ma il cervello non basta. Credo proprio (e vi prego di perdonare
questa per me inusuale espressione retorica) che occorra qualcosa che
riscaldi il cuore e che ci faccia anche visibilmente capire che
l'Unione Europea è il nostro destino e non l'oggetto di piccoli
disegni politici.
Mi piacerebbe quindi che il 21 marzo
noi tutti, nel nostro e negli altri Paesi dell'Unione, esponessimo
dalle nostre finestre e sventolassimo nelle nostre strade e nelle
nostre piazze milioni e milioni di bandiere europee. Penso al 21
marzo perché quel giorno deve simbolicamente richiamare il primo
giorno della primavera europea e perché ci ricorda San Benedetto,
che non solo è il patrono d'Europa ma che, nel secolo più buio del
disfacimento dell'impero romano, ha fatto appello ai nostri valori
comuni per ricostruire l'anima e la stessa economia dell'Europa di
allora.
Per scaldare i nostri cuori abbiamo
anche bisogno di simboli: la bandiera è il simbolo più
comprensibile e immediato che noi possediamo. Non è un compito
facile perché anche la bandiera deve essere fabbricata, distribuita
da mille e mille associazioni, accolta da milioni e milioni di
persone (#uneuropapernoi) e spiegata a tutti nel suo significato
etico, politico, economico e sociale.
Non sarà questo un gesto
rivoluzionario ma sarà certo utile per capire quanto la scelta o il
rifiuto dell'Europa saranno decisivi per il nostro destino futuro. E
quindi quanto saranno importanti le prossime elezioni europee.
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