Le ricerche storiche negli ultimi
vent'anni hanno consentito di precisare i numerosi conflitti e
incomprensioni che via via hanno accompagnato le relazioni fra il
sistema governativo italiano e il sistema internazionale di
riferimento. Di notevole interesse al riguardo il lavoro dello
storico
Umberto Gentiloni Silveri, "L'Italia
sospesa" (Einaudi, 2009), in cui emerge la capacità della
classe politica italiana di muoversi con sufficiente autonomia
consentendo di non snaturare i presupposti del sistema democratico.
Lo testimoniano i report degli incontri delle varie delegazioni
ministeriali italiane alla Casa Bianca; lo dimostrano le resistenze
della classe politica, in numerosi passaggi politici, ad
abbandonarsi a forme di rigido atlantismo (vedi Mastrolilli-Molinari
"L'Italia vista dalla Cia", Laterza 2005).
Fino al 1978 in ogni passaggio
difficile c'era la sicurezza della presenza di Moro. Era stato così
nel superamento dell'esperimento Tambroni, nella nascita del
centrosinistra organico con la forte opposizione della Chiesa
italiana, nella crisi per la formazione del secondo governo di
centrosinistra quando "il tintinnar di sciabole" e le
pressioni minacciose di circoli atlantici cercarono di interrompere
la collaborazione fra la Dc e il Partito socialista italiano. Questo
passaggio vide Moro protagonista assoluto della difesa
dell'autonomia del paese, anche a costo di sentirsi male per le
difficoltà a resistere alle pressioni della destra interna e
internazionale, come ha ben raccontato Mimmo Franzinelli nel suo
documentatissimo "Il piano Solo" (Mondadori, 2010).
"Moro è uomo tenace, legato al
progetto politico", scrive Pietro Nenni nei " Diari
1957-'66". Una definizione che stride con l'immagine che
rimbalzava sui media, propensi a definirlo fumoso, arzigogolato,
addirittura inconcludente. In realtà il carattere schivo e pacato
non deve trarre in inganno. Moro era un uomo scrupoloso, attento ai
dettagli, fine ragionatore. Un costruttore di equilibri politici
sempre più avanzati portati avanti con lucidità e coraggio. Chi ha
potuto esaminare le sue carte, custodite presso l'Archivio di Stato,
si sarà reso conto della mole di materiali conservati nel suo
studio in via Savoia. Un vero antro di mago Merlino, con rapporti
che arrivavano da tutte le ambasciate del mondo, carte riservate,
report di amici e personaggi influenti, documenti governativi
protocollati, carteggi, rassegne stampa internazionali, dossier. Per
trent'anni, materiali di ogni tipo e provenienza, sistemati
metodicamente, arrivavano al Presidente anche quando non aveva
incarichi ministeriali. Le informazioni servivano ad avere notizie
di prima mano, a capire grandi e piccole strategie, sommovimenti,
reazioni, attrezzare risposte e offrire rassicurazioni.
Costruire una politica non è
intuirla, ma darle consenso. E non è mai un procedere per strappi.
"In Moro - scriverà Pietro Scoppola - non vi sono illusioni
illuministiche e neppure l'idea che si possa costruire la storia
senza difficoltà, senza ostacoli, solo intuendo gli obiettivi e
dichiarandoli. In Moro c'è il senso che la costruzione è lenta,
faticosa, che continuamente si misura con la debolezza degli uomini,
con l'incoerenza, con la caduta. E' un insieme di pessimismo e
speranza".
E per incoraggiare o placare,
rassicurare e convincere vi è la parola. Per Moro è strumento
della politica. Parole soppesate, calibrate che lascino spazio a
molteplici interpretazioni in cui gli avversari non trovino mai la
porta chiusa e gli amici non percepiscano abbassamenti di guardia.
La parola e il tempo. Lungo, lento.
Moro scrive giovanissimo che la politica lascerà sempre
insoddisfatti, mai appagati. Non è uno scrigno che custodisce la
felicità. Le riflessione giovanili, contenute nel volume di Lucio
D'Ubaldo "La vanità della forza" (Eurilink, 2016),
offrono spunti per comprendere il percorso formativo che ritroveremo
coerente nell'età matura.
L'immagine di Moro, in trent'anni di
cronaca italiana, è stata quella di un uomo riflessivo, appartato,
a volte malinconico, carico di pudore, e di un pudore antico e
sofferto. E soprattutto quella di un uomo paziente. Dello Stato sa
tutto, conosce tutti, non è una meteora. Nel '48, a 32 anni, è
sottosegretario agli Esteri e da allora capogruppo della DC,
ministro tante volte, segretario della DC, Presidente del Consiglio.
E' professore di diritto, un filosofo del diritto, ed è padre di
quattro figli.
Prima del rapimento era considerato un
instancabile mediatore. In tanti, e Henry Kissinger è fra costoro,
lo indicavano come un uomo che sfumava sempre e non decideva mai.
Sommava su di se anche fisicamente il peso di una politica alla
ricerca del male minore. Fra ideali e realtà lo scarto è sempre
grande. E la politica è il luogo dove interessi e valori devono
trovare composizione.
Moro mediatore, ma con una missione da
compiere: quella indicata fin dal dopoguerra dalle migliori
intelligenze cattoliche che, nella DC o alla Costituente, pensavano
che per rendere forte la democrazia, le istituzioni dovessero
poggiarsi su un vasto consenso popolare. Con Dossetti, La Pira,
Fanfani, Lazzati c'era anche Moro. Allargare le basi democratiche
dello Stato, si dirà in seguito. E allargarle a sinistra, ai
socialisti prima, ai comunisti poi, con una formula politica tutta
da inventare, ma sempre senza allarmare, impaurire,
tranquillizzando, coinvolgendo e avvolgendo, alla ricerca di un
consenso largo. Consenso: questo è il principio di una politica
democratica.
La classe dirigente era abituata ad
affidarsi ad Aldo Moro come ad uno che consiglia, invita alla
prudenza, stimola. Ma dal 16 marzo '78, per la prima volta da
trent'anni lui non c'è più. In quei 55 giorni di sequestro, Moro
non può incontrare i suoi colleghi e loro non riescono ad
ascoltarlo.
Un mese prima del rapimento, dopo anni
di dibattiti e polemiche sulla strada da seguire per uscire da una
crisi politica ed economica molto grave, il leader DC convince il
suo partito ad accettare una collaborazione con il PCI. I comunisti
erano da sempre l'avversario da battere ad ogni competizione
elettorale e l'anticomunismo era un collante forte e robusto per la
DC. Ma la situazione era tale che alcuni steccati dovessero cadere
per consentire di superare la crisi con la nascita di un governo
monocolore democristiano.
Moro parla a braccio ai gruppi
parlamentari del suo partito ed il discorso per contenuto,
psicologia, lessico, ritmo, sviluppo, tecnica di ragionamento,
capacità di convincimento, coinvolgimento emotivo, è un capolavoro
dell'oratoria politica. Il leader DC fa sue le obiezioni che gli
vengono rivolte, se ne appropria, le svuota, le usa per rafforzare
il suo punto di vista.
Per molti l'accordo con il Partito
Comunista è un passaggio spericolato, ma Moro convince i suoi amici
e lo stesso fa con il Pci che, per la prima volta accetta di
sostenere un governo di soli democristiani, anzi di DC scelti negli
ambienti più moderati, senza entrare nell'Esecutivo. Ancora una
volta istituzioni sostenute da un sempre più largo consenso
popolare.
La democrazia è processo, non sono
soltanto regole. Il governo di solidarietà nazionale deve nascere
proprio la mattina del 16 marzo. Moro deve andare in Parlamento per
il battesimo del nuovo governo, poi all'Università perché ci sono
le tesi di laurea.
In via Fani finisce il prima e da quel
momento Moro non ci sarà più.
La sera del 15 marzo è la viglia del
sequestro ma anche, come abbiamo visto, la vigilia di un passaggio
storico nella vita della Repubblica. Giovanni, il figlio dello
statista, ha 20 anni, torna tardi a casa la sera e trova suo padre
seduto in poltrona a leggere un libro. Si saluteranno per l'ultima
volta, come racconta Miguel Gotor nel "Memoriale della
Repubblica" (Einaudi 2011). Il testo, insieme a quello di
Giovanni Bianconi "Eseguendo la sentenza (Einaudi, 2008), è
obbligatorio per chiunque voglia capire il contesto e quanto
avvenuto in quei 55 giorni.
Quella sera Aldo Moro sta leggendo
l'opera del teologo protestante Jürgen Moltmann, "Il Dio
crocifisso". Un classico che sarà preso a prestito dai teorici
della teologia della Liberazione. Poche ore dopo Moro diventerà "il
caso Moro" e il politico, l'intellettuale e il giurista
resteranno schiacciati da una vicenda per molti aspetti ancora da
chiarire, ma che non lo riassume. Aveva 61 anni, sembrava molto più
anziano, e le sue riflessioni hanno ancora molte cose da dire ad un
paese in cui l'orgoglio prevale sulla responsabilità e nel quale la
moralità della politica non si valuta mai nelle conseguenze che si
provocano.