Corriere della sera 12 marzo 2018
Renzi, e ora? Si ricandiderà alle primarie?
«Il mio ciclo alla guida del Pd si è chiuso. Sono stati 4 anni difficili ma belli. Abbiamo fatto uscire l’Italia dalla crisi. Quando finirà la campagna di odio tanti riconosceranno i risultati. Ma la sconfitta impone di voltare pagina. Tocca ad altri. Io darò una mano: noi non siamo quelli non che scendono dal carro, semplicemente perché il carro lo hanno sempre spinto. Continuerò a farlo con il sorriso: non ho rimpianti, non ho rancori».
«Il mio ciclo alla guida del Pd si è chiuso. Sono stati 4 anni difficili ma belli. Abbiamo fatto uscire l’Italia dalla crisi. Quando finirà la campagna di odio tanti riconosceranno i risultati. Ma la sconfitta impone di voltare pagina. Tocca ad altri. Io darò una mano: noi non siamo quelli non che scendono dal carro, semplicemente perché il carro lo hanno sempre spinto. Continuerò a farlo con il sorriso: non ho rimpianti, non ho rancori».
Cos’è accaduto nel Paese? Lei nel
2014 prese 11 milioni e 200 mila voti; ora poco più di sei milioni.
Come se lo spiega?
«Di più: siamo passati da 13 milioni
di voti del referendum ai 6 milioni di domenica scorsa. Abbiamo
dimezzato i voti assoluti rispetto a quindici mesi fa. Allora eravamo
chiari nella proposta e nelle idee. Stavolta — e mi prendo la
responsabilità — la linea era confusa, né carne né pesce: così
prudenti e moderati da sembrare timidi e rinunciatari. Dopo un
dibattito interno logorante, alcuni nostri candidati non hanno
neanche proposto il voto sul simbolo del Pd, ma solo sulla loro
persona».
Qualcuno si è tirato indietro?
«Lei conosce qualcuno che entra in un
negozio se persino il commesso dice che la merce in vendita non è
granché? Poi ci sono ragioni più profonde. Internazionali: ha letto
cosa dice Bannon, il primo ideologo di Trump, sull’Italia capitale
del populismo? E nazionali, a cominciare dal disastro nel Sud. Ci
attende una lunga traversata nel deserto. Ma ripartire da zero,
dall’opposizione, può essere una grande occasione. La politica è
fatta di veloci cambi. La sconfitta è una battuta d’arresto netta,
ma non è la fine di tutto. Cinque anni fa Pd e 5 Stelle finirono 25
pari. Alle Europee è finita 40-20 per noi. Adesso 32-18 per loro. La
ruota gira, la rivincita verrà prima del previsto».
Pensa davvero che se si fosse votato
quando l’ha fatto la Francia, a maggio, o la Germania, a settembre,
sarebbe cambiato qualcosa?
«Sì, perché sarebbe cambiata
l’agenda politica. L’agenda sarebbe stata l’Europa, non altro.
Come è stato per Macron o per Merkel. E prima ancora come è stato
in Olanda per Rutte. Sull’Europa non avrebbero vinto le forze
sovraniste. Ma poiché avevo visto per tempo questo rischio e l’ho
illustrato più volte invano, mi sento io il responsabile delle
mancate elezioni anticipate. Nessuna polemica con nessuno».
Siamo sicuri che le sue dimissioni
siano vere? Come si eleggerà il nuovo segretario, con primarie o in
assemblea? Chi sarà? Martina, Delrio? Zingaretti, Calenda?
«Le mie dimissioni non sono un fake.
Ho seguito le indicazioni dello Statuto e dunque sul nuovo segretario
deciderà l’assemblea. Rispetteremo la volontà di quel consesso.
Sui nomi non mi esprimo; anche perché sono tutte persone con cui ho
lavorato per anni. Io non parlo male di loro; li rispetto, li
difendo. E se qualcuno ha cambiato idea su di me, è libero di farlo.
Vedo in giro qualche fenomeno spiegare che abbiamo sbagliato tutto;
però non riescono a dirci perché, nelle regioni che governano loro,
il Pd è andato peggio della media».
Le consultazioni chi le farà? Lei
salirà al Quirinale?
«No. Nelle ultime consultazioni il Pd
ha sempre mandato al Quirinale i due capigruppo, il presidente e il
reggente. Non vedo motivi per cambiare delegazione».
È vero che è rimasto solo al partito
e che sono tutti contro di lei e il Giglio magico? Si sente isolato?
Vede casi di ingratitudine?
«Chi dice questo vive in una realtà
parallela. Mai come in queste ore il Pd riceve email e richieste di
iscrizione. Nel popolo Pd la stragrande maggioranza sta sulla nostra
linea: nessuno vuole fare l’accordo con gli estremisti. Altro che
Giglio magico isolato. Qualche dirigente medita il trasformismo?
Forse. Del resto la viltà di oggi fa il paio con la piaggeria di
ieri. E se per caso in futuro dovessimo tornare, sarebbe accompagnata
dall’opportunismo di domani. I mediocri fanno sempre così: hanno
scarsa fantasia, i mediocri. Ma il nodo non è il dibattito interno.
Capisco sia importante il nome del nuovo segretario; ma è più
importante il nome del nuovo premier. Tutti parlano di noi, nessuno
parla della crisi istituzionale in cui ci troviamo».
Parliamone. Sarà difficile sbloccarla
se il Pd si chiama fuori.
«E che c’entra il Pd, scusi? Ci sono
due vincitori ma non c’è maggioranza. Qualcuno ammetterà che con
il No al referendum è difficile dare un governo stabile al Paese?
Scommetto che tra qualche mese il tema della riforma costituzionale
tornerà centrale. Forse qualche settimana».
Molte personalità della sinistra vi
sollecitano un dialogo con i 5 Stelle. Perché rifiutare? E se Di
Maio indicasse per Palazzo Chigi una personalità a voi non ostile?
«Non esiste governo guidato dai 5
Stelle che possa ottenere il via libera del Pd. Non è un problema di
odio che i grillini hanno seminato. E non è solo un problema di
matematica, visto che i numeri non ci sono o sarebbero risicatissimi.
I grillini sono un’esperienza politica radicalmente diversa da noi.
Lo sono sui valori, sulla democrazia interna, sui vaccini,
sull’Europa, sul concetto di lavoro e assistenzialismo, di
giustizia e giustizialismo. Abbiamo detto che non avremmo mai fatto
il governo con gli estremisti, e per noi sono estremisti sia i 5
Stelle che la Lega. L’unico modo che hanno per fare un governo è
mettersi insieme, se vogliono».
Crede davvero che Di Maio e Salvini
potrebbero allearsi?
«Hanno il diritto e forse il dovere di
provarci. I sovranisti hanno lo stesso programma su vaccini, Europa,
immigrazione, burocrazia, tasse. Facciano il loro governo, se ci
riescono. Altrimenti dichiarino il loro fallimento. Noi non faremo da
stampella a nessuno e staremo dove ci hanno messo i cittadini:
all’opposizione».
Una possibilità sarebbe far nascere
con l’astensione un governo di centrodestra guidato da una figura
meno estremista di Salvini. O no?
«No».
Il richiamo di Mattarella e Draghi al
senso di responsabilità potrebbero portarvi a fare un governo di
unità nazionale?
«Noi purtroppo siamo il quarto gruppo
parlamentare, non più il primo: gli appelli alla responsabilità
sono sempre utili, ma si rivolgono soprattutto ai gruppi più grandi.
La palla oggi è in mano alle destre e ai 5 Stelle. Vediamo se e come
sapranno giocarla».
Le elezioni anticipate sono un’opzione?
«Secondo me nessuno dei due
schieramenti vincenti vuole tornare a votare. Prenderebbero la metà
dei parlamentari che hanno adesso. Leghisti e grillini sono i più
convinti che questa legislatura debba durare 5 anni. Umanamente
comprensibile, sia chiaro».
Gli scissionisti ora potrebbero
rientrare nel Pd?
«Lei si rende conto che per mesi
abbiamo parlato solo degli scissionisti, e loro hanno preso meno
consensi che Vendola 5 anni fa o Bertinotti 10 anni fa? Hanno avuto
più articoli sui giornali che voti nei seggi. E ne parliamo
ancora?».
Rimpiange di essere andato a Palazzo
Chigi senza passare dalle elezioni? E di non essersi ritirato dalla
politica dopo il referendum?
«Non ho rimpianti. Penso che abbiamo
fatto bene a fare l’operazione-Palazzo Chigi nel 2014; altrimenti
lo tsunami populista sarebbe arrivato con le Europee anziché con le
politiche. Oggi il Paese può reggere anche mesi di discussioni tra
Di Maio e Salvini, perché l’economia sta molto meglio. Ha visto
quelli che in queste ore fanno la fila per avere il reddito di
cittadinanza ai Caf? Ci sono anche quelli che si chiedono quanto
tempo impiegherà Salvini a cancellare la Fornero o fermare quella
che lui ha demagogicamente chiamato l’invasione o fare la tassa
unica al 15%. Sono cittadini che chiedono ai leader di rispettare le
promesse delle elezioni. Bene. Erano proposte irrealizzabili, ma
adesso saranno loro a doverci mettere la faccia».
E lei ora cosa farà?
«Il senatore. Sono tra i pochi nel Pd
ad aver vinto nel proprio collegio. Chi mi conosce davvero non ha di
me un’immagine sporcata dalle polemiche. La mia gente sa chi sono;
intendo onorare il loro affetto».
Il senatore di Scandicci, Signa, Lastra
a Signa e Impruneta? Non ci crede nessuno.
«Fare il senatore della mia terra sarà
un grande onore. E io a 43 anni se mi guardo indietro devo solo dire
grazie. Perché abbiamo fatto tante cose. Abbiamo anche sbagliato,
certo. Ma meglio vivere che vivacchiare, meglio sbagliare talvolta
che rimandare sempre. Quanto al futuro, chi ha corso una maratona sa
che è importante avere la gamba giusta e il fiato; ma che
soprattutto serve la testa. Ci attende una maratona: prendiamola con
il passo giusto. Abbiamo gambe, fiato e testa. Ho guidato per 5 anni
la mia città, per mille giorni il mio Paese. Ho portato il mio
partito a essere il più votato in Europa e grazie a questo risultato
abbiamo vinto la battaglia della flessibilità a Bruxelles. Adesso si
apre una pagina nuova».
Potrebbe fondare un suo partito?
«Di partiti in Italia ce ne sono anche
troppi. Io sto nel Pd in mezzo alla mia gente. Me ne vado dalla
segreteria, non dal partito».
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