Mario Lavia
L'Unità 15 maggio 2017
Le sconfitte dei partiti socialisti
dopo le loro virate a sinistra
La terza sconfitta consecutiva dell’Spd
di Martin Schulz ad elezioni regionali tedesche ha fatto scattare
l’allarme in casa socialdemocratica. E’ evidente che dire, come
ha fatto Schulz, “non sono un mago” e circoscrivere la portata
della disfatta a fatto locale è veramente poco.
C’è qualcosa che non va, nei partiti
socialisti europei. Non certo da ieri. Ma si pensava che, dopo il
crollo dei socialisti olandesi, dei laburisti inglesi, dei socialisti
francesi, la “nuova” Spd di Schulz potesse costituire una felice
eccezione. E invece – altro che problemi locali! – da ieri i
pronostici per le elezioni politiche tedesche del 24 settembre sono
ormai decisamente a favore della signora Merkel.
Al massimo – e non sarebbe poco –
Schulz può puntare a una nuova Grosse Koalition, con lui stesso
ministro degli Esteri, se gli va bene: ma non è esattamente una
grandissima prospettiva. Più probabile che la Cancelliera vinca da
sola o on alleanza con i liberali, in forte crescita.
Cos’è che non va nei partiti
socialisti? Perché non vengono percepiti come soggetti credibili per
governare questa difficilissima crisi europea e mondiale?
Laburisti, socialisti francesi e anche
l’Spd hanno virato a sinistra, nell’illusione di poter pescare –
o riprendersi – consensi alla loro sinistra e persino di scalfire
gruppi e partiti neo-populisti: ma i risultati, come si vede, sono
più che deludenti.
E’ stato un calcolo sbagliato.
Corbyn, Hamon e parzialmente perfino un europeista come Schulz –
per non dire dei socialisti olandesi letteralmente spazzati via –
hanno accentuato una ljnea – definiamola così – di protezione
sociale ma senza darle credibilità. Hanno finito cioè col dare
l’impressione di mettersi sulla scia del populismo di sinistra,
ovviamente senza ricavarne alcunché ma anzi perdendo qualcosa al
centro.
Nella frattura principale
europeismo-populismo e secondaria sinistra-destra, i partiti
socialisti europei paiono scegliere la scorciatoia della nostalgia di
vecchie identità e l’avventura di tentazioni tendenzialmente
estremistiche. In questa situazione, gli elettori hanno risposto
scegliendo Emmanuel Macron e Angela Merkel: più affidabili, più
credibili, più solidi nella risposta al populismo.
La lezione di Francia e Germania è
dunque che il populismo non si batte inseguendolo. Il malessere
sociale non si affronta con ricette vecchio stile ma con la
credibilità delle riforme: e se Schulz fa passo indietro rispetto
alle grandi riforme di Schroeder – lo nota Marco Gervasoni
sul Messaggero – sono guai. Non è così che recuperi alla tua
sinistra: il fatto che Hamon non abbia recuperato un voto da
Mélenchon insegna qualcosa.
Fra qualche settimana vedremo come
andrà Corbyn contro al May: ma si parla già di disfatta. In
Francia, il declino del Ps difficilmente potrà essere evitato alle
legislative di giugno. Del match Spd-Cdu si è detto. Poi toccherà
al Pd italiano, quando sarà.
Il partito di Renzi non è allineato
sulle linea dei partiti socialisti europei. Non cede alla demagogia
populista, neppure a quella venata di ultra-progressimo. Si fa argine
esso stesso al populismo e alla demagogia delle destre italiane. Si
vedrà. Alla fine del lungo girotondo elettorale europeo si tireranno
le somme, e bisognerà ridiscutere tutto, di questo Pse.
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