sabato 31 marzo 2018

Delrio: «Tra Pd e Cinque Stelle la distanza è sostanziale»


Monica Guerzoni, Corriere della Sera
31 marzo 2018
Graziano Delrio è pronto al dialogo con i due vincitori, ma sulle riforme e non sulle poltrone. Al Quirinale il capogruppo alla Camera porterà la determinazione del Pd a tenere conto del voto degli italiani: «Non siamo minoranza per scelta o per capriccio, non si può fare finta che il risultato delle elezioni sia stato un incidente».
Di Maio vi rimprovera di sottrarvi alle convergenze. Siete pronti a parlare di governo con il M5S?
«Se per trovare convergenze propongono la flat tax per far pagare meno tasse ai ricchi togliendo risorse a scuole e sanità pubblica, l’argomento è chiuso. E se vogliono cancellare la legge Fornero io dico che è pericoloso, perché minando il sistema rischiamo di non pagare più le pensioni».
Lascerete che nasca un governo Di Maio-Salvini?
«La nostra linea è chiara, vogliamo rispettare il risultato del 4 marzo e su questo siamo d’accordo con Salvini e Di Maio. La democrazia si rafforza quando si rispetta il voto, non tenerne conto invece può essere pericoloso. Non tifiamo per nessun governo con programmi che danneggiano l’Italia».
Continuerete a disertare i tavoli di confronto?
«Ci possiamo sedere sempre, ma mi sembra impossibile che le differenze siano scomparse a venti giorni dal voto. Se siamo seri dobbiamo dire che le distanze programmatiche, tra noi e la Lega e tra noi e i 5stelle, su molti temi sono sostanziali. Non è questione di renziani o non renziani, ma di contenuti».
I vincitori volano nei sondaggi, voi siete fermi. Eppure lei come Renzi pensa che l’opposizione gioverà al Pd?
«Fa bene al Paese una minoranza ricca di proposte per il benessere di famiglie e imprese. Accusarci di immobilismo prima ancora che parta la legislatura è ingeneroso. Dobbiamo fare un’analisi profonda della sconfitta e mettere in campo la nostra agenda programmatica, non possiamo solo contrastare quella altrui. Sulle cose che interessano gli italiani non staremo a guardare, saremo protagonisti».
Intanto M5S e Lega si prendono tutte le cariche. Non hanno ragione Franceschini, Emiliano, Orlando e gli altri che spingono per il confronto?
«La nostra serietà non sia presa per debolezza. Noi abbiamo rifiutato confronti per rispetto alle consultazioni e al ruolo del presidente della Repubblica. Per ora 5stelle e destra sono stati molto abili a spartirsi le poltrone, più che a garantire le regole e il buon inizio della legislatura».
Un pontiere come lei non ha la tentazione di allearsi con il M5S contro la destra?
«Dialogo sempre con tutti quelli che si impegnano a risolvere i problemi, come ridurre le diseguaglianze e aumentare la giustizia sociale. Non abbiamo preclusione al confronto sui temi che aiutano la vita delle persone, ma le loro ricette sono sbagliate».
E se Mattarella vi proponesse un governo di scopo?
«Il presidente troverà nel Pd ascolto, attenzione e la massima collaborazione, come ha deciso all’unanimità la direzione del Pd. Ma io non so cosa voglia dire governo di scopo».
Un governo che fa la legge elettorale, ad esempio.
«Sì, ma quale legge? La politica italiana è ammalata di formule e liturgie, io vorrei che parlassimo di contenuti».
II Pd rischia l’estinzione?
«No, se ripartiamo dai principi e dai valori e ricostruiamo una identità più forte in una società che è cambiata. In questa traversata, che non sarà nel deserto perché abbiamo con noi sei milioni di elettori, dobbiamo giocare un ruolo. Ritroviamo uno slancio partendo dalla sofferenza delle persone e poi vediamo cosa succede».
Renzi esercita un potere di interdizione sul Pd?
«No. Marcucci e io non abbiamo un capo o una società esterna che ci dà ordini. A differenza del M5S il nostro regolamento è aperto alla pluralità, non c’è uno che decide per tutti. Io mi confronto con Matteo sui contenuti e lui, avendo fatto il passo indietro, vuole che il Pd faccia il suo percorso con serenità. Ma è un senatore e non gli si può chiedere di non essere un dirigente del Pd».
Perché allora, sull’elezione dei capigruppo, Martina ha minacciato le dimissioni?
«C’è stato un confronto in un gruppo dirigente allargato e poi il reggente ha fatto la sintesi».
La leadership di Maurizio Martina è stata intaccata?
«Ho governato il Paese per cinque anni e non credo che la leadership si eserciti sulle nomine. Il congresso ha disegnato un’area di maggioranza che va da Martina a Orfini e dialoga con la minoranza. L’unità nella diversità è un valore».
Il Pd sembra già in pieno congresso. Lei si candida?
«Il Pd ha intelligenze migliori e io, anche per ragioni familiari, non sono disponibile».
Gentiloni può essere il traghettatore?
«Non lo so. Non ci serve un capo, ma un orizzonte. Con metafora pasquale direi che dobbiamo lavare i piedi, servire i tanti smarriti in questa società. Io come Grillo sono gaberiano, sono contro le ideologie, ma non si può dire che destra e sinistra non esistano più. C’è una destra nazionalista, cattiva, che divide la società e mette in pericolo la pace. Su questioni sostanziali come la democrazia i 5stelle hanno una visione molto diversa dal Pd, che deve far circolare idee di sinistra».
Non è il caso che si dimetta da ministro?
«Sto chiudendo gli ultimi atti per i territori. Sono pronto».

venerdì 30 marzo 2018

democrazia...quindici su sedici

Graziano Delrio
30 marzo 2018
Abbiamo terminato le votazioni alla Camera dei Deputati per l'ufficio di presidenza. Noi non abbiamo chiesto posti: volevamo che la seconda forza politica del Paese potesse essere rappresentata perché la tutela delle minoranze nelle Istituzioni è garanzia di imparzialità e buon funzionamento. Centrodestra e 5 Stelle hanno deciso di procedere occupando 15 posizioni su 16. Abbiamo un solo rappresentante, e ne siamo molto fieri, ma ci pare che 5 Stelle e Centrodestra abbiano cominciato con il piede sbagliato: questa Istituzione è la casa di tutti, e va rispettata in maniera più seria l'espressione del voto.
Il gruppo del Partito Democratico è rimasto compatto ed unito. Noi discuteremo sempre, ma vogliamo smettere di dividerci e lavorare insieme facendo circolare idee e proposte. La nostra stella polare resta sempre l'interesse del Paese, non siamo interessati ad altro che ad agire nel Parlamento e nel Paese affinché si crei più lavoro e lavoro dignitoso e si combattano povertà e diseguaglianze che purtroppo ancora esistono. Nessuno insiste a stare in minoranza per capriccio, ma perché vogliamo rispettare il voto. E rispettando il voto rafforziamo la nostra democrazia.
E perché la distanza dagli altri partiti sulle cose da fare per il Paese su Europa, pensioni, lavoro e povertà non si sono ridotte in un mese. Siamo distanti nel merito. Non per ripicca. Per serietà. La nostra bussola rimane il documento approvato dalla direzione le scorse settimane. Quella è la "direzione” che il Pd ha scelto unitariamente.

giovedì 29 marzo 2018

Richetti: «Ora le primarie per il leader»

Il Pd può ritrovare il suo popolo solo ripartendo dall’opposizione, con una «traversata nel deserto» e un segretario incoronato dalle primarie. 
Intervista di M. Guerzoni – la Repubblica

«Il Pd rischia l’estinzione» e può ritrovare il suo popolo solo ripartendo dall’opposizione, con una «traversata nel deserto» e un segretario incoronato dalle primarie. E’ la ricetta del senatore Matteo Richetti, pronto a correre per il Nazareno.

Il Pd è fuori dai giochi, o un dialogo con i 5 Stelle sul governo può riaprirsi?
«Sia il M5S che la Lega usano il Pd, per mandarsi i messaggi. Io non mi riconosco nelle letture bizzarre di chi, nel mio partito, dice che gli elettori ci hanno mandato all`opposizione. Noi dobbiamo fare opposizione perché il nostro progetto di Paese è alternativo e incompatibile rispetto a quello di Grillo e Salvini. Come si fa a pensare che il Pd possa condividere un solo giorno di governo con chi vuole l’abolizione della Fornero, il reddito di cittadinanza, o il superamento dell’obbligo delle vaccinazioni?».

Il fronte dialogante del Pd si è arreso?

«Con tutto il rispetto trovo aberrante pensare che, se il M5S non trova i voti della Lega, noi dobbiamo metterci i nostri. La sola idea che una forza politica possa indifferentemente allearsi con noi o con Salvini è la fine della politica come progetto».

L’ostacolo è Renzi?

«No, il M5S che la pone nei termini “liberatevi di Renzi e siete potabili” deve capire che c’è una soglia di dignità e decenza sotto la quale non si va. Renzi si è dimesso davvero. L’elezione dei capigruppo dimostra che il Pd oggi decide in maniera molto libera».

Per placare la rissa sui capigruppo, Martina ha dovuto minacciare le dimissioni.

«Io non ho visto Renzi imporre nomi e non lo vedo imporre la linea politica. Nessuno ancora si è alzato per dire facciamo un governo con Di Maio. Io penso ci sia uno spazio vero per una intesa tra lui e Salvini. Ci dicono, perché non salite anche voi su quell’autobus? Perché va in una direzione pericolosa per l’Italia».

E un governo di scopo?

«Con tutta l’ammirazione e il rispetto per il capo dello Stato, non credo che gli atteggiamenti di responsabilità del Pd si possano tradurre nella partecipazione a un governo. Che lo chiamiamo di scopo, a tempo o di larghe intese, sarebbe sempre politico e ci porrebbe un drammatico problema di coerenza».

Renzi ha segnato un punto sul fronte dialogante di Franceschini e Orlando?

«Nessuno si è spinto a ipotizzare la partecipazione del Pd al governo. Sarebbe residuale sul piano dei numeri e non farebbe fare al Pd la cosa più utile. La traversata nel deserto, una vera e propria ricostruzione del partito».

Orfini è contrario a cambiare lo Statuto, e lei?

«Penso che il premier del Pd non debba mai più fare anche il segretario».

E le primarie?

«Trovo surreale che un pezzo forse maggioritario del Pd dica che le primarie non servono più. E lo strumento con cui abbiamo eletto Prodi, Veltroni, Bersani, Renzi e dato un profilo al partito. Far concludere il mandato della segreteria Renzi con una assemblea senza primarie sarebbe un errore clamoroso. Se vuoi ricostruire dopo il risultato peggiore dal dopoguerra, devi rivolgerti al tuo popolo».

Lei si candida?

«Sabato 7 aprile sarò a Roma con un grande appuntamento all’Acquario Romano, per dare voce a chi voce non ha. Il rischio estinzione del Pd esiste, perché altre forze oggi stanno assumendo le istanze della sinistra. Non possiamo stare fermi, dobbiamo rimetterci in cammino subito».

Il reggente Martina ha deluso i renziani?

«Sta facendo un lavoro generoso per portare il Pd all’assemblea, che dovrà  individuare un segretario con un mandato definito nel tempo per svolgere il congresso».

E Delrio capogruppo?

«È un punto di forza. Una parte del Pd lo vedrebbe candidato alla segreteria, il che dimostra che si sta puntando su profili fortemente unitivi».


martedì 27 marzo 2018

buon lavoro Andrea e Graziano

Andrea Marcucci con Matteo è stato feeling a prima vista sin dai tempi della Margherita quando il sottosegretario dei Beni culturali Marcucci da Barga, provincia di Lucca, conobbe l'allora presidente della Provincia di Firenze Matteo Renzi. Francesco Rutelli trovando del buono in Renzi glielo affidò, raccomandando di farlo crescere politicamente e prepararlo alla sfida delle primarie per sindaco di Firenze dove, contro tutti i pronostici, il giovane Matteo vinse....
Graziano Delrio è un renziano anomalo. Anche lui vanta una familiarità e una amicizia di lunga data con Renzi. Al punto che nella sua rubrica telefonica Matteo è archiviato alla voce Mosè e Graziano ha spesso scherzato sul fatto di autodefinirsi Ietro, il suocero di Mosè. Quando si cercava in tutti i modi di evitare la scissione del Pd, invitò pubblicamente l'ex premier e segretario a mostrarsi flessibile: "Gli parlo da fratello maggiore, deve togliere ogni alibi per evitare la rottura nel partito".

buon lavoro Ale


lunedì 26 marzo 2018

“La dignità dell’opposizione”.


Pierluigi Castagnetti
25 marzo 2018
Si possono interpretare in vario modo i risultati delle elezioni, ma non si può negare che siano chiari.
Almeno per il Pd: gli italiani hanno voluto mandarlo all’opposizione. Può dispiacere, a me dispiace, ma la scelta è stata quella. Colpisce oggi il numero di giornalisti, intellettuali, attori, che si improvvisano esperti politici per suggerire al Pd una lettura meno severa dei risultati, per indurlo a un atteggiamento più morbido e consentire a chi ha detto di aver vinto di potere vincere.
Ma perché tanta attenzione verso il Pd che fino a ieri si è tanto denigrato e osteggiato? 
Perché fa tanta paura l’opposizione?
Il vecchio PCI l’ha fatta per trent’anni con tanta dignità e fede nel futuro, perché dimenticarlo? 
L’opposizione è una delle funzioni tipiche della democrazia, una funzione piena di dignità. Si può fare in modo diverso da come l’ha fatto il M5S nella precedente legislatura, votando pregiudizialmente contro tutto e tutti, si può essere forza di opposizione seria e responsabile che vota a favore dei provvedimenti condivisi, senza rinunciare al proprio ruolo di opposizione.
Suggerirei di rileggere gli interventi di Nino Andreatta capogruppo del piccolo gruppo dei Popolari nella legislatura 1994/96 per capire la dignità e la forza del ruolo di opposizione.
Ricordo ancora quando, da capogruppo di opposizione nel Consiglio regionale in Emilia Romagna, nel 1987 mi sono candidato alla Camera, dopo aver consultato vari amici, fra i quali un mio maestro che mi disse: devi andare perché fra qualche anno la Dc sarà minoranza e si dispererà, perché non saprà che fare, essendosi dimenticata che la democrazia si regge sia sul ruolo della maggioranza che su quello dell’opposizione e, in quel momento, sarà importante che nel suo gruppo parlamentare ci sia qualcuno che spieghi ai colleghi che si fa politica anche dal l’opposizione.
Se si ha dignità. E si hanno idee. Se non si ha nè l’una nè le altre, allora si deve semplicemente cambiare “mestiere”.


lunedì 19 marzo 2018

Bologna, 24 novembre 1950 - Bologna,19 marzo 2002.

La sera del 19 marzo 2002 sono da poco passate le ore 20 quando il professor Biagi, in sella alla sua bici, ha appena percorso il tratto di strada che separa la sua abitazione di via Valdonica dalla Stazione dove, poco prima, è sceso dal treno che da Modena (dove è docente alla facoltà di Economia) lo riporta ogni sera a Bologna.
Sceso dal treno, chiama la moglie e avverte che sta per arrivare, poi inforca la bicicletta e s'incammina verso casa. Di sentinella alla Stazione e lungo la strada che porta al suo domicilio ci sono già due terroristi che seguono i suoi movimenti, avvertendo gli altri complici dei progressivi spostamenti dell'obiettivo.
Alle 20:07 un commando formato da altri tre brigatisti, due a bordo di un motorino ed un terzo (la staffetta) a piedi, lo aspetta di fronte al portone della sua abitazione, al civico 14. I due terroristi che si fanno incontro al professore, e che indossano caschi integrali, aprono il fuoco esplodendo sei colpi in rapida successione in direzione di Biagi, per poi allontanarsi molto velocemente.
Alle 20:15, Biagi muore tra le braccia degli operatori del 118 che sono accorsi sul posto. L'arma utilizzata nell'azione, si scoprì dopo, risultò essere la stessa del delitto di Massimo D'Antona.