sabato 6 gennaio 2018

 Enzo Bianchi

Epifania 

Non da chi era vicino 
ma da chi era lontano 
non da chi conosceva Dio 
ma da chi non lo conosceva ed era pagano 
non da chi andava al tempio 
ma da chi cercava nella notte 
non da chi stava al sicuro 
ma da chi sapeva rischiare un viaggio 
E’ STATO TROVATO E RICONOSCIUTO GESÙ !

giovedì 4 gennaio 2018

Opinioni o notizie? Giornalisti ma dove siete?


Occhetta.f 
4 gennaio 2018
Fermiamoci un istante, pacatamente. L’anno è appena iniziato, i motori si stanno riaccendendo, in molti angoli della terra molti popoli vivono sotto regimi antidemocratici, poi dopo le dichiarazioni dei Presidenti Trump e Kim il mondo è minacciato da una guerra nucleare che sarebbe devastante per tutti. L’Europa avrebbe bisogno di riforme strutturali, solide e condivise per riaffermare il suo ruolo di potenza di pace e di diritti, mentre i temi aperti in Italia sono quelli noti: il lavoro, la giustizia, l’integrazione degli immigrati e altri temi ancora.
Invece apri Facebook o Twitter, cosa leggi? Il dibattito sui sacchetti di plastica. All’inizio pensavo fosse una sciocchezza, pensandoci meglio credo sia un sintomo di qualcosa di più grande. Il modo e il merito dicono che il Paese è sbilanciato a frenare ogni cambiamento possibile. Lo ribadisco il tema tocca il modello di sviluppo e l’economia ma anche il tema della rappresentanza politica.
Quale ruolo per politici e giornalisti?
In questo caso molti politici invece di spiegare quello hanno votato hanno dato ragione a critiche infondate che vanno contro quello che hanno votato. Ma così si scredita una intera classe. I media nazionali che inseguono i social e invece di ricostruire la notizia fanno da eco alle opinioni. E il valore del servizio pubblico nel giornalismo che costruisce l’opinione pubblica e fornisce elementi per votare? Prima le notizie e dopo le opinioni, altrimenti se le notizie devono servire le opinioni di turno entra in crisi l’identità narrativa di una cultura.
Andiamo con ordine per definire il tema e chiudere con una considerazione. La grande bufala si poteva smontare almeno in due punti:
a. il Parlamento ha recepito una direttiva Europa del 2015 (la 270) che tende a disincentivare, per evitare l’inquinamento ambientale, l’uso della plastica, anche quella in materiale leggero usato per frutta e verdura nei supermarket, e ad evitare una procedura d’infrazione molto salata già avviata lo scorso anno da Bruxelles.
b. non è stato un premio del Governo ad amici in regime di monopolio dato che sul mercato operano 150 aziende per un totale di 4 mila dipendenti. 
Ribadisco quello che ho scritto su facebook: in Italia si producono 10 milioni di tonnellate di rifiuti organici, di cui sei milioni vengono riciclati. Se TUTTI utilizzassero sacchi biodegradibili e combustibili, ci sarebbero quattro milioni di tonnellate di rifiuti organici in più e una drastica riduzione di gas serra.
È dai piccoli gesti quotidiani, come quello della cura per lo scarto e del suo riciclo, che si rigenerano una cultura e una società. Occorre scommettere e costruire bioraffinerie che riciclino la plastica e riducano l’inquinamento e i sacchettini biodegradibili vanno in questa direzione. Stiamo parlando di una spesa che potrebbe oscillare dai 4 ai 12 euro in più per famiglia all’anno. Una media di 1 euro al mese! 
La grande bufala
Il linguaggio delle bufale è antico, con la differenza che alle parole si dava un peso, servivano per distruggere ma anche ricostruire. Lasciamo perdere i sacchettini che dicono però la scelta o meno di uno sviluppo più umano e sostenibile… (i signori del petrolio e del carbone staranno facendo festa). Questo linguaggio ha solo cambiato la sua maschera. Era già presente negli anni Venti del secolo scorso, quando la gente voleva un uomo forte al comando e desiderava chiudersi nelle proprie identità senza aprirsi ai tempi che cambiavano. Tutto ciò che era istituzionale doveva essere distrutto… e la storia del Novecento la conosciamo. Purtroppo quello che si dimentica, ritorna. Quando nella storia si invoca la “volontà generale” dietro si nasconde quasi sempre la presenza di un Generale col potere di distruggere e quasi mai di edificare. Non so se c’è rimedio. Possiamo arginare una burrasca? La coscienza sociale matura attraverso (purtroppo) l’umiliazione della dignità umana e attraverso il dolore. La Carta Costituzionale è un evento di coscienza sociale perché la guerra aveva risvegliato ciò che contava davvero. E per noi? Cosa conta oggi? Siamo circondati da guerre e Facebook è pieno di selfie come se il mondo sono io. La cultura contemporanea sembra avere svuotato il significato antropologico di coscienza (sociale) e «il senso di obbligazione» verso gli imperativi della coscienza stessa, in particolare verso quelle «voci» che richiamano a scelte più impegnative e onerose in senso morale: la voce divina che risuona nel segreto, l’ascolto intimo, il giudizio, un «Tu» con cui dialogare, l’obbedienza sincera al comando interiore «fa’ questo, evita quest’altro», la responsabilità verso l’altro. È la coscienza morale, infatti, a porre all’uomo alcune domande radicali e ineludibili: come devo comportarmi? In che modo distinguere le voci di bene e quelle di male radicate nel cuore? Chi sono chiamato ad essere? Cosa sto costruendo?
La formazione della coscienza sociale
La formazione di una coscienza sociale può essere garantita soltanto da un’opinione pubblica formata, capace di distinguere il bene dal male. Non si tratta, come pensano molti, di imporre la verità insegnandola — il cui etimo ricorderebbe un «mettere dentro» —, bensì educando a disvelare la verità (dei fatti), e ciò nel senso più alto del termine, del «tirare fuori» risorse, innovazioni e valori: dai cittadini e dalla società. Quale alternativa sarebbe possibile? Per alcuni studiosi e politici prevedere una sorta di sceriffo del web che censuri il falso. Così si comprimerebbe il principio inviolabile del diritto di espressione.
Ricordiamo, in proposito, un aneddoto di Enzo Biagi: «Una notizia la si può raccontare in tantissimi modi. Facciamo un esempio: un bambino che vede una bicicletta la prende e scappa via. La notizia può essere raccontata così: un bambino la prende perché ha sempre sognato di avere la bicicletta; oppure, il bambino è un ladro, dimostra di essere un precoce delinquente; infine, era un gioco, il bambino non sa che certi giochi vengono contemplati anche dal codice penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà».
Si vede solo ciò che si conosce interiormente nel profondo della propria coscienza. Il Papa lo ribadisce: “La realtà, in sé stessa, non ha un significato univoco. Tutto dipende dallo sguardo con cui viene colta, dagli ‘occhiali’ con cui scegliamo di guardarla: cambiando le lenti, anche la realtà appare diversa. Da dove dunque possiamo partire per leggere la realtà con “occhiali” giusti?”. Occorre ripartire dalla responsabilità comune di saper costruire e non continuare a demolire.
Un appello al giornalismo
Quasi un secolo fa il giornalista era stato definito da Joseph Pulitzer: «La vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato». Ci chiediamo: è ancora così? Nel tempo della post-verità la genesi della notizia è radicalmente cambiata. Fino ad una decina di anni fa la notizia si dava attraverso sette tappe: a) reperimento, b) verifica, c) selezione, d) gerarchizzazione, e) interpretazione e contestualizzazione, f) commento e presentazione al pubblico, ne è la causa. Quello che rimane oggi sono i momenti dell’interpretazione e della contestualizzazione. Su questi due passaggi passa il rilancio di un giornalismo di qualità e delle notizie buone.
Certo la deontologia va rispettata. Il suo significato (dal greco tò δέον “il dovere” e λόγος “scienza”) non è un concetto statico, ma cambia nel tempo includendo i contenuti e le forme della comunicazione che generano nuove esperienze comunicative. Occorre investire molto in cultura e parlare alle intelligenze e non alla pancia. Invertire la regola delle cinque “S” che impone di parlare di sesso, soldi, sangue, spettacolo e sport per fare audience. Prepararsi con rigore sui temi caldi dell’agenda politica che toccano la convivenza civile stessa: l’antropologia post-umanista, il rapporto tra laicità e l’islam e il rapporto tra diritto di espressione e diritti soggettivi, l’integrazione, la costruzione della cittadinanza europea, la difesa della dignità della persona, ecc. A marzo si vota e in gioco c’è il destino di tutti… non possiamo svenderlo alle grandi bufale

Delrio: “Noi ministri candidati nei collegi. Non abbiamo paura della gente”




Intervista di Carlo Bertini 

La Stampa
4 gennaio 2018 

« Non dobbiamo aver paura del giudizio della gente noi».
Non è che Renzi abbia scoperto il valore della squadra ora: tutte le sue azioni dalla sconfitta del referendum in poi – le dimissioni da Palazzo Chigi, la scelta di Gentiloni premier, la gestione delle primarie – dimostrano il contrario e vedrete che tutta la squadra Pd sarà davvero in campo».
Graziano Delrio è il primo esponente di governo a dichiarare di esser pronto a scendere in pista a petto in fuori, misurandosi con la sfida di collegio. Sfida sempre temuta, pure se alcuni corrono in zone più “protette” e se comunque ai big verrà offerto il paracadute nei listini proporzionali.
Scusi ministro, ma c`è chi eviterebbe volentieri il rischio di essere impallinato nelle urne. Il governo e il premier non vanno preservati nel caso doveste continuare il cammino per traghettare il paese a nuove elezioni?
«Merkel ha fatto la campagna elettorale da Cancelliera e non si è risparmiata. Noi siamo persone con una loro storia e con loro idee e non possiamo cancellarle quando c`è la competizione elettorale. È chiaro che giocheremo la nostra partita anche nei collegi, come tutti gli altri a viso aperto: non crediamo a una politica fatta nei salotti e non credo che presentarci nei collegi indebolirà il governo».
Se nessuno dovesse uscire vincitore dalle urne, lei sarebbe disposto a fare un governo di larghe intese con Berlusconi e magari anche con Grasso?
«Noi miriamo a vincere come centrosinistra e ce la possiamo fare, questo è il nostro obiettivo. Per il dopo deciderà il presidente della Repubblica quale possa essere la soluzione migliore».
In che modo il premierei ministri saranno protagonisti in campagna elettorale?
«La squadra è in campo anche perché ha fatto delle cose e può rivendicarle. Un esempio che mi riguarda: da vent’anni non si investiva sul trasporto pubblico. Noi abbiamo messo due miliardi per le metro, nuovi tram nelle città e il ricambio del parco autobus, sconti per gli abbonamenti. Ciò mostra un’attenzione alle classi più deboli e alla vita quotidiana delle nostre famiglie».
Lei ha incassato molte proteste per il rincaro dei pedaggi. Mossa sbagliata in piena campagna elettorale? Potevate evitarla?
«Riguardano il 7% degli utenti. Abbiamo cercato di bloccarli ma c’era una sentenza che ci obbligava dopo tre anni di tariffe congelate. Erano aumenti obbligati, ma abbiamo fatto di tutto per contenerli al massimo».
Sta studiando una soluzione per  i pendolari della A24, giusto?
«Certo è uno dei casi a cui teniamo di più e su cui lavoreremo. Vorrei che riuscissimo a trovare una soluzione per quella tratta autostradale molto delicata, anche perché impatta sull`ingresso nella capitale».
Pensa che uno dei motivi del calo del Pd sia il peso del governo che grava sulle spalle?
«Quasi sempre quando si governa si paga un prezzo, ma mesi fa eravamo in testa e i sondaggi veri si faranno a pochi giorni dal voto. C`è una quota di persone che ha deciso di non andare a votare e sono la maggior parte dei nostri. Forse non hanno capito la posta in gioco: un ritorno di un centrodestra oggi più pericoloso e l`arrivo dei 5stelle totalmente inaffidabili. Si capirà nelle prossime settimane che non si possono abbassare le tasse per i ricchi senza intaccare i servizi pubblici, scuola e sanità. O che non si può promettere denaro invece che lavoro, come fanno i grillini».
Consiglia a Renzi di posizionarsi più a sinistra?
«Noi siamo d’accordo che la nostra campagna debba avere un connotato di sinistra, di vicinanza ai deboli: la lotta vera alla diseguaglianza si fa creando lavoro, vogliamo creare un altro milione di posti, ma vogliamo anche che siano più stabili e  dignitosi, retribuiti in modo adeguato. C’è bisogno di più giustizia sociale, di dare una vita dignitosa ai redditi più bassi e alle famiglie con figli. Dobbiamo mettere al centro questo tema. Il lavoro è la parola chiave e deve essere la nostra ossessione».
Rischiate di perdere molti collegi nelle regioni rosse per colpa di D’Alema e Bersani?
«Non credo, perché specie nelle regioni a forte tradizione di centrosinistra, tutti coloro che abbandonano il nostro campo rischiando di far vincere le destre di solito non sono premiati: questa è la mia impressione conoscendo il popolo della mia terra».
Rischiate una coalizione bonsai. Come finirà con i Radicali?
«Abbiamo ancora la speranza di recuperarli. Anche Renzi è in campo, l’ho sentito in queste ore. Stiamo cercando di ricreare le condizioni per fare una squadra con la Bonino dentro».

Biodegradati


Mattia Feltri 
4 GENNAIO 2018
Ieri non è stata una di quelle giornate in cui si riacquista fiducia nell’umanità. Dall’alba a notte su internet gli italiani si sono esercitati in una surreale rivolta del sacchetto. Riassunto per i tre che non ne conoscessero i presupposti: da ora nei supermercati si pagano 0.02 euro i sacchetti biodegradabili del reparto frutta e verdura (un salasso, ehm, da 4-6 euro l’anno a famiglia); una decisione del governo per favorire un’amica di Renzi che produce i sacchetti; ormai ci tassano anche l’aria (posizione di Lega e F.lli d’Italia che però in Parlamento non s’erano accorti di nulla); è una rapina. Bene. Qualcuno, per resistere, ha previsto che pagherà 0.14 euro in sacchetti a settimana per 54 settimane, dunque 75 euro l’anno (in realtà fa 7.5 euro, senza contare che le settimane sono 52). Un altro, sempre per resistere, ha acquistato sei zucchine applicando uno scontrino su ogni zucchina (il prezzo viene ovviamente rilevato sullo scontrino, non sul sacchetto, così il fenomeno ne ha pagati sei ma non ne ha preso neanche uno). Un terzo, felice di non aver pagato il sacchetto, non s’è accorto che gli hanno fatto pagare i limoni 4.20 euro al kg, il doppio del pane. Un quarto, indignato, voterà CasaPound. E avanti così. Resta da dire che la cosiddetta amica di Renzi è titolare dell’azienda che ha inventato i sacchetti biodegradabili, un genio del bene. E che i sacchetti si pagavano anche prima soltanto che adesso, per chiarezza, il prezzo viene esplicitato. Una rivolta sul nulla, proprio quello che ci voleva. Almeno è biodegradabile.  

“Non c’è nessuna tassa occulta né monopolio aziendale.Troppe bufale e inesattezze sui biosacchetti"


Bioshopper . Legambiente:
Le bugie sui nuovi bioshopper per gli alimenti: tassa occulta e monopolio aziendale sulle bioplastiche   
Legambiente: "Troppe bufale e inesattezze sui sacchetti biodegradabili e compostabili  che  invece fanno bene all’ambiente e aiutano a contrastare  il problema  dell’inquinamento da plastica   Non c’è nessuna tassa occulta né monopolio aziendale. E il problema delle buste usa e  getta si può facilmente superare con una circolare ministeriale che permetta  ad esempio l’uso e riutilizzo delle retine ”    
Italiani sempre più divisi sui nuovi bioshopper biodegradabili e compostabili, a pagamento, utilizzati per gli alimenti ed entrati in vigore dal 1 gennaio 2018: c’è chi li sostiene e che invece ha molti dubbi al riguardo, e non mancano in queste ore il proliferare di affermazioni inesatte su una novità che, invece, fa bene all’ambiente e aiuta a contrastare in maniera efficace l’inquinamento da plastica non gestita correttamente e il problema del marine litter. Per questo Legambiente punta il dito contro le “bugie” che stanno circolando in questi giorni: dalla cosiddetta “tassa occulta” alla questione del monopolio di Novamont, azienda a cui si deve l’invenzione del Mater-Bi. Da sempre – ribadisce l’associazione ambientalista - i cittadini pagano in modo invisibile gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno, la differenza è che dal 1 gennaio, con la nuova normativa sui bioshopper, il prezzo di vendita del sacchetto è visibile e presente sullo scontrino. Altra bufala, la questione del monopolio di Novamont: per Legambiente si tratta di una accusa senza alcun fondamento, dato che in Italia si possono acquistare bioplastiche da diverse aziende della chimica verde mondiale. Infine c’è la questione dell'utilizzo dei sacchetti monouso, un problema che si può facilmente superare semplicemente con una circolare ministeriale che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili, come ad esempio le retine, pratica già in uso nel nord Europa.
“Le polemiche di questi giorni – dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente – sono davvero incomprensibili: non è corretto parlare di caro spesa né di tassa occulta o di qualche forma di monopolio aziendale. Sarebbe utile che ci si preoccupasse dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento causato dalle plastiche non gestite correttamente, e che si accettassero soluzioni tecnologiche e produttive che contribuiscono a risolvere questi problemi,  senza lasciarsi andare a polemiche da campagna elettorale di cui non se ne sente il bisogno. È ora di sostenere e promuovere l’innovazione che fa bene all’ambiente, senza dimenticare di contrastare il problema dei sacchetti di plastica illegali. Circa la metà di quelli in circolazione sono infatti fuorilegge, un volume pari a circa 40 mila tonnellate di plastica, e una perdita per la filiera legale dei veri shopper bio pari a 160 milioni di euro, 30 solo per evasione fiscale”.
Tassa occulta? Per Legambiente non è nulla di tutto ciò. Da sempre i cittadini pagano in modo invisibile gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno. Nessun produttore o nessuna azienda della grande distribuzione ha mai fatto ovviamente e naturalmente beneficenza nei confronti dei consumatori. Unica differenza, è che questa volta il costo è visibile, perché l'obiettivo della norma è aumentare la consapevolezza dei consumatori su un manufatto che se gestito non correttamente può causare un notevole impatto ambientale.
La legge vieta il riutilizzo dei sacchetti? Questo problema si può ovviare semplicemente con una circolare esplicativa del Ministero dell'ambiente e della salute che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili, come ad esempio le retine, pratica già in uso nel nord Europa. In questo modo si garantirebbe una riduzione auspicabile dell'uso dei sacchetti di plastica, anche se compostabile, come già fatto coi sacchetti per l'asporto merci  (che grazie al bando entrato in vigore nel 2012 in 5 anni sono stati ridotti del 55%).
È una legge basata sul monopolio dell'azienda Novamont? Si tratta di una fantasia di chi non conosce il mercato delle bioplastiche. Oggi nel mondo ci sono almeno una decina di aziende chimiche che producono polimeri compostabili con cui si producono sacchetti e altro. Basta andare sul web e si possono trovare colossi della chimica italiana, tedesca, americana, del sud est asiatico, che producono bioplastiche. Dove sarebbe il monopolio? Forse sarebbe opportuno ricordare che tra le principali aziende della chimica verde una volta tanto l’Italia ha una leadership mondiale sul tema, grazie ad una società che è stata la prima 30 anni fa a investire in questo settore e che negli ultimi 10 anni ha permesso di far riaprire impianti chiusi riconvertendoli a filiere che producono biopolimeri innovativi che riducono l'inquinamento da plastica. Un problema di cui ormai si parla in tutto il mondo, come emerso chiaramente ad esempio alla Conferenza mondiale sugli oceani che l'Onu ha organizzato nel giugno scorso a New York, a cui Legambiente ha partecipato portando l’esperienza di citizen science sul marine litter con Goletta verde e le campagne di pulizia delle spiagge.

il Grillo della Sera

Ora che anche il Corsera si sveglia dal lungo sonno grillino e pubblica articoli allarmati sul controllo ferreo dei siti grillini che schedano i voti degli aderenti scoppia il complotto dei sacchetti che distoglie l'attenzione. Sarà un caso? A pensar male si fa peccato ma ci si azzecca, forse non valeva solo nella cosiddetta Prima Repubblica
Stefano Ceccanti 
4 gennaio 2018

martedì 2 gennaio 2018

In politica in alcuni momenti sostanza e apparenza si divaricano.

Stefano Ceccanti
2 gennaio 2018
Fabozzi sul Manifesto e Palmerini sul Sole ci spiegano giustamente che il discorso breve ed essenziale del Presidente Mattarella non prelude affatto a un suo ruolo più ritirato dopo le elezioni nella formazione del Governo, ma con tutta probabilità esattamente al contrario. E' ovvio e giusto che per invitare alla partecipazione si insista sul ruolo degli elettori nello scrivere la "pagina bianca" della vita politica. E' però ancor più vero che in un sistema a base proporzionale gli elettori col voto assegnano solo la quantità di carte per l'inizio vero del gioco che avviene solo in seguito e che, con partiti deboli e lontani tra di loro, esso tenda in realtà a spostarsi sul Quirinale.
Nella cosiddetta seconda Repubblica, con sistemi a dominante maggioritaria, in genere questo accadeva a un certo punto della legislatura, dopo l'implosione dei governi legittimati direttamente dagli elettori, ora invece è altamente probabile che accada sin da subito. 
Sostanza e apparenza sono destinate a divaricarsi per un mese, fino alla chiusura delle candidature, anche nella vita tra partiti e coalizioni. Essi giustamente già chiedono il voto contro i propri rivali, però questa è la fase in cui si regola soprattutto la competizione interna. Nei partiti non è mai facile combinare unità e pluralismo, anzi in qualche caso è evidente il tentativo di comprimere tutto nella prima direzione come con le nuove regole del M5S, che potrebbero avere come effetto anche la fuoriuscita di alcuni potenziali candidati non ritenuti allineati, anche con clamore pubblico e danno per il risultato. 
Anche quando si ricorra a strumenti apparentemente democratici come forme di primaria, magari essi sono impostati con regole tali da rendere ancor più monolitica la scelta: basti pensare alle 'parlamentarie'  di 5 anni fa di Bersani tra Natale e Capodanno ben congegnate soprattutto per eliminare le minoranze interne, anche se poi, nonostante la rispondenza effettiva del risultato a quello scopo, la fedeltà degli eletti non durò molto rispetto all'incapacità di formare il Governo nel tentativo impossibile col M5S. 
Nelle coalizioni  vi è il problema di come si dividono le candidature uninominali (quante alla Lega e quante a Fi? Quante al Pd e quante agli alleati? Come si fa senza avere prima indicatori sicuri della forza reciproca? Si ricorre ai sondaggi?) e nelle liste che risultano da intese tra forze diverse (esempio quella della sinistra sinistra) che non possono vincere collegi ma che vedranno eletti solo capilista c'è un problema analogo (quanti a D'Alema? Quanti a Civati?).
Si aggiunge a ciò qualche difficoltà interpretativa di una legge elettorale nuova di zecca, che però sarebbe risolubile, come sempre, con un pò di ragionevolezza. Anche per questo non va data per irreversibile la momentanea rottura tra Pd e Radicali
C'è a dire, tuttavia, che il Pd si presenta stavolta, in questa fase, come il soggetto relativamente più preparato a vivere il passaggio come in un gioco di squadra effettivo, nonostante le difficoltà obiettive di inizio campagna, il che potrebbe essere una risorsa non da poco.
Non sono infatti più i tempi in cui una qualsiasi scelta veniva recepita in modo acritico dall'elettorato, non è più il momento di D'Alema che invia Di Pietro nel Mugello sicuro del risultato.
Al momento del voto sostanza e apparenza si riavvicinano e l'esito non è mai certo.