sabato 9 novembre 2019

Sono Liliana.

Sono una donna.
Sono italiana.
Deportata.
E a 90 anni, come a 13, perdo di nuovo la mia libertà. Come allora. Perché ebrea.

Ho dedicato la mia intera esistenza, sopravvissuta per puro caso allo sterminio in un campo di concentramento, alla memoria, alla testimonianza, per ricordare cosa è stato. Affinché non accadesse mai più. Certa che mai più saremmo scivolati di nuovo in quell’abisso.

Ma mi sbagliavo. A 8 anni sono stata espulsa da scuola senza colpa. A 13 sono stata messa in un vagone bestiame e portata ad Auschwitz. E fino a 14 ho visto ogni giorno la gente morire attorno a me.

Per tre volte ho visto medici in divisa nazista scrutarmi tra le ossa e decidere, con uno sguardo, se potessi essere sfruttata ancora o mandata nelle camere a gas. Ho sentito madri nella notte invocare i nomi dei propri bambini trascinati alle “docce”. E ho sentito i bambini chiamare le mamme.

E tutto cominciò così. Come oggi sta ricominciando. Non invocando camere a gas e stermini. Ma facendo differenze tra “noi” e “loro”. E incitando all’odio noi contro loro. Cominciò così. Con gli stessi toni, lo stesso clima, lo stesso odio prima sottaciuto, poi “tollerato”, poi alimentato.

E qualcuno dice ancora che oggi nulla è cambiato. Per oltre 70 anni non ho mai avuto bisogno della scorta. Oggi sì. Oggi sono di nuovo in pericolo. Perché ebrea. E perché chi odia, oggi, rispetto a ieri, si sente protetto, legittimato, autorizzato a rialzare la testa.

Sono Cathy. Sono Francesca. Sono Maria. Sono Giovanna. Sono Valeria. Sono Marcella. Sono un’ebrea. Sono una donna.
Sono Liliana.

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