martedì 8 ottobre 2019

Se Trump abbandona al loro destino i curdi


La Turchia sta per invadere la Siria e disperdere il popolo che ha sconfitto l'Isis. Ma per Donald prevale la "real politik". L'analisi di Fulvio Scaglione

07/10/2019
di Fulvio Scaglione
Il primo pensiero, ovviamente, va ai curdi, in questo caso ai curdi siriani, per l’ ennesima volta traditi dai Paesi occidentali. C’ è questo, infatti, nella decisione con cui Donald Trump ha concesso luce verde a un intervento militare della Turchia nella Siria del Nord. Intervento diretto proprio contro quei curdi che sono stati i migliori alleati degli Usa nella lotta contro il Califfato di Al Baghdadi ma che Recep Erdogan considera un movimento terroristico e una minaccia per il suo Paese. Il progetto del Presidente turco è chiaro: ritagliare una fetta di territorio siriano (una trentina di chilometri di profondità lungo tutto il confine con la Siria, lungo 480 chilometri), disperdere i curdi, impedire la vittoria finale dell’ esercito siriano e di Bashar al-Assad e ricollocare nell’ area occupata gran parte dei 3,6 milioni di profughi siriani che in questi anni sono scappati verso la Turchia.
Altrettanto chiaro è il contorno del dramma curdo. Il “popolo senza Stato” è per l’ ennesima volta vittima del proprio sogno. Il regime centralistico e autoritario di Assad prometteva ai curdi, al massimo, un certo grado di autonomia all’ interno dello Stato siriano. Un patto tutto da contrattare tra mille diffidenze reciproche: Assad col dubbio che i curdi, una volta solidificata l’ autonomia, potessero poi pretendere una vera indipendenza, magari con l’ aiuto delle solite potenze esterne che non hanno certo rinunciato alla partita siriana; i curdi con l’ angoscia che Assad, una volta consolidata la vittoria militare ottenuta con l’ aiuto della Russia di Vladimir Putin, decidesse di soffocare anche quella poca o tanta autonomia concessa.
Così i curdi si sono affidati agli americani, nella speranza che fossero proprio loro ad aiutarli a realizzare il progetto del Rojava, l’ embrione di quello Stato laico e democratico che sognano da sempre. In nome di questo obiettivo i curdi hanno combattuto a fianco delle truppe Usa contro l’ Isis sia in Siria sia in Iraq, sacrificando molte vite e spendendo molti sforzi. Invano, come si vede oggi.
Donald Trump, d’ altra parte, mostra nel suo cinismo una sorta di spietata coerenza. Nel settembre del 2017 il presidente (curdo) del Kurdistan iracheno, Mas’ ud Barzani, fece svolgere un referendum sull’ indipendenza della regione dall’ Iraq. Ottenne un 93% di sì ma gli Usa, grandi protettori dei curdi all’ epoca di Saddam Hussein, si pronunciarono subito contro il referendum, rifiutando di riconoscerne l’ esito e abbandonando Barzani e i suoi alla reazione del governo centrale iracheno.
La stessa cosa avviene ora con il Rojava, a dimostrazione di quanto tattico e strumentale fosse il sostegno americano alla causa curda. Finito l’ Isis, finito il sostegno. In realtà, la Casa Bianca fa scelte assai più razionali di quanto sembri a prima vista. Dal punto di vita strategico, in Iraq era più interessante, per gli Usa, proteggere l’ unità del Paese che non favorire la fuga in avanti di questa o quella componente. Soprattutto tenendo conto dell’ influenza dell’ Iran, che è già forte e che in un quadro di frammentazione avrebbe solo potuto crescere. La stessa cosa accade ora in Siria: per gli Usa è più importante recuperare un rapporto con la Turchia di Erdogan, che è pur sempre un Paese della Nato e che negli ultimi tempi ha costruito una buona relazione con la Russia, che non far nascere uno Stato curdo, sia pure nella forma “ridotta” del Rojava.
Resta da vedere che cosa farà, ora, la Siria. Si lascerà scippare una fetta di territorio da Erdogan oppure sarà pronta a combattere, magari alleandosi proprio ai curdi abbandonati dagli americani? La sensazione è che queste ultime mosse siano solo la conclusione di un lungo processo che, dietro le quinte, ha visto anche la partecipazione della Russia come “madrina” di Assad. L’ esercito siriano non ha le forze per scontrarsi anche con quello turco. E il Cremlino non ha alcun interesse a prolungare una guerra non ancora terminata o, addirittura, ad allargarla. È possibile che Assad scorga nella mossa di Erdogan anche alcuni possibili vantaggi. Per esempio, una sforbiciata alle ambizioni dei curdi che, come si diceva prima, sono un problema anche per il governo di Damasco. E poi, i profughi siriani che fossero eventualmente ricollocati nella Siria del Nord occupata dai turchi, potrebbero essere incentivati a ritornare alle proprie città e ai propri villaggi, avendo a quel punto perso la speranza di potersi sistemare in Turchia o di poter da lì partire verso l’ Europa. E si sa quanto stia a cuore ad Assad, anche nella prospettiva della ricostruzione, il ritorno dei profughi.

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