Stefano Ceccanti
Roma,
10 dicembre
1-
Ripartire dalle chiavi di lettura di Paladin e Lanchester
Parlare
di questo tema, pur brevemente, senza essere ripetitivi, è
estremamente difficile perché si tratta di muoversi come nani sulle
spalle di vari giganti, per un verso ovviamente Leopoldo Elia, ma per
altro verso degli altri Autori che hanno scritto su questo, in
particolare Livio Paladin nella presentazione agli Studi in onore,
editi da Giuffré nel 1999, e dai vari testi di Fulco Lanchester, in
particolare la sua relazione di apertura al convegno del 2014 su “La
Sapienza del giovane Leopoldo Elia 1948-1962” .
Paladin,
dopo aver colto come “caratteristica comune e pressoché costante”
di Elia quella dei “collegamenti tra l’attività di studioso e
l’azione dell’uomo politico”, proponeva un percorso
interpretativo in cui dopo una fase iniziale, in cui “lo studioso
ha avuto la prevalenza ma non l’esclusiva”, ne seguiva una
successiva in cui “l’uomo pubblico e il politico direttamente
coinvolto hanno gradualmente predominato” (p. XII). Anche così,
però, negli “articoli giornalistici” si confermava comunque
“l’intreccio fra la sua vastissima preparazione
costituzionalistica di base e le sollecitazioni della vita politica
quotidiana” (p. XIII).
Per
Paladin la linea interpretativa è rimasta sostanzialmente la stessa:
per un verso “recuperare le occasioni perdute dell’Assemblea
costituente con la mutilazione dell’ordine del giorno Perassi”
senza però affidare alle varie ipotesi di riforma “globali
capacità rigenerative” (pp. XXX-XXXI).
Lanchester,
invece, all’interno di questa obiettiva continuità, tenendo conto
anche degli scritti del decennio successivo, tende maggiormente a
sottolineare un certo scarto tra lo sguardo più positivo negli anni
di inizio della transizione 1991-1993 e quelli successivi più
preoccupati a causa della scomparsa del precedente sistema dei
partiti e della confusa transizione ad uno nuovo con potenziali
effetti di squilibrio del sistema stesso.
Eviterò
comunque, perché ho già presentato una relazione nel convegno
citato organizzato da Fulco Lanchester, di riparlare in questa sede
degli interventi nella palestra di “Giurisprudenza Costituzionale”
e mi concentrerò su un testo paradigmatico dell’inizio e poi,
soprattutto, su due testi degli ultimi anni.
2-
Il punto di partenza: Cronache Sociali e un testo paradigmatico che
conferma la tesi Paladin
L’inizio
è costituito dalla rivista dossettiana “Cronache Sociali”. Nel
1962 lo stesso Elia, insieme a Marcella Glisenti, cura per l’editore
Luciano Landi (San Giovanni Valdarno-Roma) un’antologia di testi
pubblicati dalla rivista tra il 1947 e il 1961. In quell’occasione
inserisce tre delle proprie note: due sono di ricostruzione di eventi
politici, una sorta di puntuale ricostruzione e decodificazione degli
eventi politici e di governo (una sorta di “pastone” di alto
profilo), mentre uno è un vero e proprio testo costituzionalistico
per così dire ‘correttivo’ e rafforzativo del Presidente del
Consiglio De Gasperi. Mentre quest’ultimo il 15 maggio 1949 per
porre una decisa barriera a destra rispetto ai monarchici aveva
distinto tra una valutazione politica ostile a eventuali mutamenti
dell’articolo 139 della Costituzione ed una giuridica astrattamente
più possibilista, m asolo direi come caso di scuola, Elia, sulla
base della teoria della Costituzione materiale e dei principi supremi
ad essa connessi, la escludeva anche sotto il profilo giuridico,
sempre che si volesse restare “nel quadro della vigente
Costituzione”, essendo appunto la forma repubblicana “nel nucleo
della Costituzione materiale dello Stato italiano” (p. 416 del
primo Tomo).
Siamo
qui evidentemente in un testo paradigmatico che conferma la chiave di
lettura di Paladin sulla chiara prevalenza dello studioso sul
politico nella prima fase, anche se lo studioso non è asettico e le
conseguenze politiche di quell’approccio sono piuttosto evidenti.
Si tratta della linea del gruppo dossettiano, in questo caso a
supporto e a rafforzamento di quella già intransigente di De
Gasperi, a non accettare spostamenti a destra del quadro politico,
contro le autorevolissime pulsioni in senso opposto, di cui ci ha
sempre parlato Pietro Scoppola.
3-
Gli ultimi anni e la verifica della tesi Lanchester
Dopo
il testo di Paladin del 1999, per verificare la tesi Lanchester
possiamo anzitutto, grazie ai contributi ripubblicati sul sito delle
Costituzioni storiche dell’Università di Torino, rileggere i
contributi successivi e individuare quelli più caratterizzanti.
Tra
questi vi è senz’altro soprattutto il testo pubblicato su “Il
Popolo” del 19 dicembre 2001 “Quel che Dossetti ci ha insegnato”
in cui Elia spiega il senso dell’intervento di Dossetti del 1994
che coglieva in Berlusconi “una figura che rappresentava allora (e
rappresenta oggi) l’esatto contrario di quel pluralismo che
significa la nuova, effettiva separazione dei poteri nelle democrazie
contemporanee”.
Vi
è poi l’introduzione al Volume edito dal Mulino nel 2005 “La
Costituzione aggredita. Forma di governo e devolution al tempo della
destra” in cui sono particolarmente interessanti due notazioni
apparentemente laterali, rispetto all’analisi critica puntuale,
piuttosto nota, delle norme del progetto approvato dalle Camere e in
attesa di essere sottoposto al referendum confermativo/oppositivo.
La
prima, nella scia di Dossetti, è sempre relativa al caso Berlusconi
e alla non contendibilità della sua leadership: “Se nel periodo
1994-2001 la stabilità dei governi non si è realizzata in termini
fisiologici, è altrettanto vero che è mancato, specie nella XIV
legislatura, qualsiasi controllo efficace sul Premier da parte dei
‘partiti personali’ affermatisi nell’area di centrodestra”
(p. 10).
La
seconda, nella comparazione con l’esperienza costituzionale
semi-presidenziale francese, segnala la sua negatività rispetto a
una possibile importazione “tenuto anche conto della minore
reattività del contesto italiano sperimentata in altre circostanze
storiche” (p. 17).
Risulta
pertanto confermata anche la tesi Lanchester: è lo sfarinamento del
soggetto partito a spingere Elia ad una maggiore cautela sulle
riforme.
4-
Una breve conclusione: né dogmatizzare né ripararsi dietro
un’impossibile asetticità
Ovviamente
come per ogni Autore a cui capita di compiere questo tragitto ben
delineato da Paladin e da Lanchester, man mano che ci si allontana
dal professore che commenta la politica e ci si avvicina al politico
che utilizza le proprie competenze di professore, è evidente che
cresca l’opinabilità dei giudizi storico-politici. E che quindi
neanche i più motivati, compresi quelli di Elia, possano essere
assolutizzati e dogmatizzati. Per questo è sempre bene non tentare
rigide attualizzazioni.
In
particolare non si può essere certi che tutti i giudizi formulati
nel vivo della lotta politica rimangano inalterati in seguito e
neppure che i pericoli per gli equilibri di sistema che possono
sembrare gravi in una fase e che poi siano magari superati non si
riaffermino in una fase successiva anche in forme diverse. Non è
affatto detto, ad esempio, che il metodo, gradito a molti, di riforme
puntuali anziché più organiche, praticato in questo periodo metta a
priori al riparo da squilibri anche profondi.
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