Chissenefrega
del deficit, dei mercati, dello spread. Se c’erano 40 miliardi, si
potevano spendere molto meglio di così, per far ripartire l’Italia.
Invece, soldi ai pensionati, ai professionisti, a chi non ha pagato
le tasse. Che sia la volta buona che i giovani italiani si sveglino
un po’?
di
Francesco Cancellato
No,
non ce ne frega nulla (o quasi) del deficit al 2,4% del Pil. Non ce
ne frega nulla (o quasi) nemmeno delle reazioni dei mercati, dello
spread, del più che probabile declassamento del debito pubblico
italiano. Non ce ne frega nulla (o quasi) perché la cosa grave di
questa nota di aggiornamento al documento di economia e finanza è
non sono i numeretti che ci sono fuori, ma quel che c’è dentro.
Perché se ci avessero detto che avrebbero speso 40 miliardi di euro
per rifare tutte le scuole d’Italia, per finanziare la ricerca
pubblica e il trasferimento tecnologico, per sistemare strade e
ponti, per attivare un processo di riqualificazione energetica di
tutti gli edifici che hanno più di trent’anni, per rendere
gratuiti gli asili nido, per aumentare i fondi e gli sgravi fiscali a
disposizione delle famiglie che decidono di fare figli, o anche solo
per qualcuna di queste cose, non avremmo avuto nulla da dire.
Che
si sforassero, i parametri. Che reagissero, i mercati. Che andasse
dove vuole, lo spread. Avremmo avuto un Paese più moderno e più
equo, proiettato al futuro, desideroso di colmare i propri divari col
resto d’Europa, intenzionato a investire nella cultura dei suoi
cittadini, a trattenere i suoi giovani, a riqualificare la propria
economia, a prendersi cura della sua bellezza e della sicurezza dei
suoi cittadini, a includere le donne nel mercato del lavoro, a
riempire le sue culle vuote. 40 miliardi di investimenti in un Italia
che non investe più su se stessa da dieci anni almeno
E
invece no. Abbiamo sfidato l’Unione Europea, i mercati, lo spread
per tenere l’Iva lì dov’è, per far andare 400mila persone in
pensione subito attraverso un principio, quota 100, che durerà lo
spazio di una legislatura prima di esploderci in mano, per dar loro
un po’ di soldi in più con la cosiddetta pensione di cittadinanza,
per abbassare le tasse ai professionisti e per fare uno sconto a chi,
negli scorsi anni, non aveva pagato le tasse, lasciando un paio di
miliardi di briciole alla sistemazione dei centri per l’impiego,
cosa che in Germania ne costò 11, a suo tempo. In ogni caso, conti
della serva alla mano, 38 miliardi a 2, di cui 27 a debito, messi in
conto alle generazioni future. Saremo incontentabili benaltristi, ma
lo vediamo solo noi che è tutto sbagliato? Che ci siamo giocati
l’occasione di cambiare il Paese, per renderlo ancora più uguale a
com’è e non dovrebbe essere: un posto abitato da anziani, a misura
di anziani.
Con
tutta la benevolenza possibile, raramente abbiamo visto una scelta di
politica economica tanto miope e autolesionista, figlia unicamente
della necessità di ripagare il proprio bacino elettorale, perlomeno
quello che con più frequenza e fedeltà si reca alle urne. E
sinceramente un po’ ci speriamo che questo gigantesco spreco
finisca per svegliare quel corpo sociale morto che sono i giovani
italiani, che hanno subito la loro ennesima presa in giro, per di più
da due partiti che avevano votato in massa. E vorremmo che qualcuno
chiedesse a Salvini dov’è la grande emergenza delle culle vuote, e
a Di Maio dove sono gli asili nido gratis, e a entrambi dove sia la
scuola e dove la ricerca, che in quattro mesi di governo sono state a
fatica nominate. E vorremmo che le opposizioni, già che ci sono,
prendessero il coraggio a quattro mani per dare battaglia senza
quartiere a questo disastro. Lasciando perdere il deficit, i mercati
e lo spread e cominciando a occuparsi di politica, di politiche.
Sarebbe già qualcosa, in questa notte buia come la pece.
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